giovedì 30 dicembre 2010

Buon 2011 (?)

Qualche giorno fa il Sole 24 Ore ha pubblicato un interessante articolo dal titolo "Le cento sorprese del 2011". Assieme a misure condivisibili più che altro in materia ambientale (i divieti imposti ai sacchetti di plastica non biodegradabile, ai biberon contenenti policarbonato, alle lampadine ad incandescenza fino a 60 Watt), assieme a misure legate al progresso della tecnologia (i nuovi formati delle schede di memoria, il caricabatterie universale), se ne nascondono alcune particolarmente insidiose per le tasche dei cittadini.

lunedì 27 dicembre 2010

Il Gran Ciambellano del regno FIAT e i marchionniani locali

Sergio Marchionne, l'AD col pullover, conquista un'altra fabbrica all'extraterritorialità FIAT iniziata con Pomigliano. Anche Mirafiori farà parte del regno della FIAT (di "repubblica" penso non si possa parlare, mi pare più appropriata la definizione di "monarchia INcostituzionale")
Come a Pomigliano, anche a Mirafiori non si potrà scioperare, andare in bagno a fare pipì, non si potrà fare la pausa pranzo, si dovrà essere disponibili agli straordinari come e quando vuole l'azienda. Di più, a Mirafiori chi non accetta queste condizioni non avrà neppure diritto ad essere rappresentato nelle RSU aziendali, con ovvio riferimento alla FIOM.

mercoledì 22 dicembre 2010

Quando il Parlamento vede più lontano dei cittadini

Due rapporti interessanti sono stati pubblicati da Istat e Bankitalia. Il primo è relativo alla disoccupazione, che tocca i massimi dal 2004 ad oggi, arrivando all'8,7%. Si tratta come è normale, di una media, le cifre infatti variano notevolmente quando si vanno ad indagare alcuni gruppi sociali particolari. Si scopre infatti che la disoccupazione giovanile sfiora il 25% e che quella relativa alle donne al sud arriva al 36%. E soprattutto si scopre che il 20% circa dei giovani sono assimilabili alla categoria dei NEET, acronimo inglese che indica coloro che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in percorsi di formazione. In pratica coloro che, magari scoraggiati dal fatto che comunque lavoro non si trova, smettono anche di cercarlo, un lavoro.
Dati che non tengono conto, è chiaro ma giova ripeterlo, di tutti i "disoccupati di fatto": coloro che in questi mesi hanno usufruito della cassa integrazione straordinaria per chiusura dell'azienda. Lavoratori che risultano ancora occupati ma che sono, appunto "disoccupati di fatto", perché il loro destino occupazionale è, purtroppo, segnato. Quindi un dato "drogato", inferiore a quello reale.
Il secondo rapporto è quello di Bankitalia, che informa che il 10% delle famiglie italiane detiene il 45% della ricchezza nazionale. Dato che non mi stupisce, anzi, mi piacerebbe sapere quale percentuale di ricchezza è detenuta dall'1% più ricco del Paese. Un dato quindi che certifica le grandi disuguaglianze sociali ed economiche presenti nel Paese. Ovviamente non si parli di patrimoniale, perché altrimenti si spaventano i mercati, che come è noto sono particolarmente paurosi, tranne quando si mandano a casa centinaia di lavoratori per volta o quando si aggrediscono fortemente i loro diritti (dei lavoratori, intendo).

venerdì 17 dicembre 2010

ODG per il mantenimento dei livelli occupazionali nel trasporto pubblico locale

Di seguito il testo dell'ordine del giorno presentato dal gruppo del Partito della Rifondazione Comunista per la Federazione della Sinistra nel Consiglio Provinciale di Pistoia (gruppo che era costituito da due consiglieri e che adesso conta la sola consiglieta Rita Monari, perché a causa della scomparsa del capogruppo Moreno Bettini è subentrato un signore nel frattempo folgorato sulla via di Montenero di Bisaccia che ha ritenuto, forte dell'appoggio del suo nuovo partito, di approfittarsi di una tragedia per far guadagnare un seggio in più all'IDV... non c'entra nulla ma repetita iuvant...), voto a tutelare i livelli occupazionali delle aziende che gestiscono il TPL, ossia Copit e Lazzi, riunite nella società BluBus. Livelli occupazionali che vengono minacciati dai pesantissimi tagli che il governo opererà nei confronti del trasporto pubblico l'anno prossimo. Tale ordine del giorno è stato approvato all'unanimità.

lunedì 13 dicembre 2010

La normalità dello schifo

Qualche giorno fa ho incontrato, in veste di assessore al lavoro, le dipendenti di una azienda ormai chiusa. Una situazione complicatissima e ingarbugliatissima, che stiamo cercando di dipanare. Dopo l'incontro una dipendente, che conosco meglio delle altre, mi ha inviato una mail dove, dispiaciuta, mi ha confessato che alcune di loro erano arrabbiate anche un po' con me (nonostante l'incontro, a parte la naturale drammaticità del caso, fosse in realtà filato via abbastanza liscio e senza polemiche). In modo quasi pregiudiziale, quasi "a prescindere". Erano arrabbiate con me, mi pare di aver capito e spero di non essere eccessivamente auto-assolutorio, non per quello che ho fatto o non fatto, ma perché in quel momento rappresentavo la "politica", le "istituzioni". Scopro l'acqua calda se dico che da tanto tempo si è rotto il legame di fiducia fra cittadini da una parte e politica e istituzioni dall'altra. Certo, nel nostro paese c'è un germe carsico (ma non troppo) di qualunquismo, che periodicamente riaffiora; siamo il paese che ha visto nascere il movimento, chiamato appunto, l'Uomo Qualunque, siamo il paese dei mille comitati contro le antenne dei cellulari ma tutti ci arrabbiamo quando non riusciamo a navigare a 20 mega al secondo con il telefonino o quando ci sono solo "due tacche" di linea. Siamo il paese dell'egoismo della Lega che non perdona una Roma ladrona nella quale la medesima Lega si è accomodata più che bene acquisendone immantinente usi e costumi. Siamo il paese di Beppe Grillo che manda aff... tutto e tutti come se il solo mandare aff... desse una risposta ai problemi veri delle persone che vivono in questo Paese.

martedì 7 dicembre 2010

Comunicato stampa della FDS di Pistoia sulla situazione della MAS

La decisione del curatore fallimentare di non chiedere un ulteriore periodo di cassa integrazione in deroga e di procedere ai licenziamenti dei circa cento dipendenti tuttora in forza alla Mas è di una gravità inaudita, perché aggrava pesantemente le difficoltà occupazionali del nostro territorio senza alcun motivo accettabile.

sabato 4 dicembre 2010

Autoreferenzialità

Sono profondamente consapevole che lamentarsi della propria autoreferenzialità non fa che aumentare il proprio grado di autoreferenzialità. Ragion per cui, nonostante non abbia certo la pretesa di avere un peso percepibile nel dibattito interno alla Federazione della Sinistra, mi impegno, finito questo post, a non tornare per un bel pezzo sull'argomento.
Mi pare ad ogni modo che il nostro dibattito, all'interno della Federazione della Sinistra e di rifondazione Comunista, abbia preso una china molto pericolosa. Quella, appunto dell'autoreferenzialità. Più che del dibattito ufficiale, quello nelle istanze di partito o fella federazione, parlo del dibattito che si sviluppa attraverso i vari blog ed i social network. Certo, la linea politica non si costruisce nei blog o sui social network, ma ritengo che tali strumenti siano rappresentino comunque un buon barometro del clima dentro la FDS ed il PRC. Perché sono strunenti orizzontali, poco o nulla "filtrati", immediati, e anche perché in questo "dibattito orizzontale" intervengono anche i massimi dirigenti del nostro soggetto politico.

mercoledì 1 dicembre 2010

Armi, speculatori e scuole materne

Il sito Peacereporter.net ci informa che, in quello che rischia di essere il suo ultimo scorcio di vita, il governo Berlusconi IV ha speso quasi un miliardo per acquisto di armamenti. Questa è la lista della spesa del ministro (speriamo ancora per poco) Ignazio La Russa:

200 milioni di euro: sistemi di puntamento Ots e nuovi missili anticarro "Spike" con cui attrezzare gli elicotteri "Mangusta"

22,3 milioni di euro: acquisto di 271 mortai da 81 millimetri di nuova generazione

125 milioni di euro: costruzionedi una nuova unità navale della Marina militare con funzione di appoggio alle forze di incursori, ricerca e soccorso. Comprensiva di cannoni e mitragliatrici

87,5 milioni di euro: nuovo siluro 'pesante' (6 metri lunghezza per 1,2 tonnellate) per i sommergibili U-212.

63 milioni di euro: realizzazione di un grande 'hub' aereo militare nazionale ''dedicato alla gestione dei flussi, via aerea, di personale e di materiale dal territorio nazionale per i teatri operativi'' presso l'areoporto militare di Pisa.

lunedì 29 novembre 2010

Canton Varese, bundesland Padania e Quarto Reich...

Qualche mese fa un oscuro parlamentare svizzero di centro-destra chiamato Dominique Baettig, salì all'onore delle cronache in almeno quattro stati europei (Francia, Italia, Austria e Germania) per una proposta assai singolare: la Svizzera dovrebbe annettersi alcune zone confinanti: le nostre province di Bolzano, Como, Varese e Aosta, il Voralberg austriaco, il Giura, la Savoia e l'Alsazia francese, il Baden-Wuetternberg tedesco. Fa un po' ridere l'idea della pacifica e ricca svizzera che lascia per un attimo da parte la cura dei propri interessi e la propria secolare neutralità per muovere una guerra vincente a tutti i propri confinanti. Eppure i sondaggi effettuati nelle zone interessate hanno dato risultati sorprendenti: ovunque la maggioranza dei cittadini avrebbe accolto con favore una eventuale annessione alla Svizzera. Tanto che, alla fine Baettig, più che lanciare una provocazione sembra avere svelato un disagio profondo che caratterizza le regioni di frontiera vicine alla Svizzera. Disagio dovuto al centralismo dei governi nazionali, alle "ingerenze" della UE nell'economia dei singoli stati (le quote latte sono un buon esempio), alle "zavorre" che i territori annettendi ritengono di dover sopportare (il Mezzogiorno e la ex Germania Est in particolare). Disagi nei confronti dei quali il modello confederale svizzero sembra una risposta auspicabile. Auspicabile e improbabile, visto l'esito che avrebbe una guerra fra la svizzera e i suoi vicini e considerato il fatto che forse non converrebbe neppure alla Svizzera di mettersi in casa un grande "Mezzogiorno" (perché le benestanti Como e Varese, ma anche il Baden-Wuetternberg, a confronto con i ricchi cantoni elvetici diventerebbero "aree depresse", da "gabbie salariali!) che avrebbe il doppio dei suoi abitanti attuali... il giorno dopo comincerebbero le spinte indipendentistiche della Svizzera storica, soffocata dal fardello costituito dai nuovi "cantoni".

giovedì 25 novembre 2010

...perché per una poltrona in più l'IDV certamente non lucrerà su una tragedia!

Di seguito il comunicato stampa della federazione provinciale di Pistoia di Rifondazione comunista, che la stampa locale si è guardata bene dal pubblicare....

Nella sede del nostro partito, quello della Rifondazione Comunista, sulla porta ancora oggi c’è una bandiera rossa listata a lutto. Il lutto è per il compagno Moreno Bettini, comunista fino all’ultima goccia di sangue, coerente per tutta la vita con le sue idee che ha vissuto con passione e sempre dalla parte degli ultimi, coerente nella società, coerente nelle istituzioni, sia come consigliere comunale a Lamporecchio che in qualità di capogruppo del PRC in consiglio provinciale.

Moreno purtroppo non c’è più. Niente e nessuno potrà sostituirlo, di questo siamo consapevoli noi e soprattutto la sua famiglia alla quale va ancora tutto il nostro affetto. Ma le regole e le leggi vanno avanti da sole e mentre ancora le nostre bandiere sono listate a lutto, incombe la nomina di un nuovo consigliere provinciale.

Un anno e mezzo fa il primo dei non eletti è stato Andrea Betti. Con sincera, e a dire il vero repentina, convinzione Andrea circa 12 mesi orsono lasciò il gruppo del PRC in Consiglio Comunale a Pistoia dove era stato eletto nel 2007, per passare disinteressatamente all’IDV. La legge quindi prevede che ad occupare il posto del Comunista Moreno Bettini dovrebbe essere l’ex ex ex comunista Andrea Betti.

mercoledì 24 novembre 2010

Bunga bunga e "collegato lavoro"

Ieri, martedì 23 novembre 2010, è definitivamente entrato in vigore la legge 183/2010, già conosciuta come DDL 1167B, approvata dalla Camera dei Deputati lo scorso 19 ottobre. Si tratta del famigerato "Collegato lavoro", già rinviato alle Camere la sorsa primavera dal Presidente della Repubblica, anche a seguito della mobilitazione contro le pesanti ingiustizie che introduceva nel nostro diritto del Lavoro. Approvato, insomma, mentre i media ci raccontavano di Ruby e del "bunga bunga". E noi ci facevame bellamente distrarre da questa squallida vicenda.

Credo che si debba innanzitutto riconoscere al governo una certa “coerenza” ed una certa “perseveranza” su questa materia. L’attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori viene da lontano. Un attacco già tentato nel 2002 e già respinto all’epoca, grazie soprattutto alla mobilitazione della Cgil e della sinistra di alternativa, che a quei tempi era forte in Parlamento e nella società. C’era quindi stato il tentativo di intervenire sui diritti dei lavoratori precari, con il Decreto Legge 25.6.2008, n. 112, dichiarato poi illegittimo dalla Corte Costituzionale. Un attacco che dà quasi l’impressione di voler essere “dimostrativo”: esso arriva infatti dopo diversi interventi miranti a smantellare tutte le tutele; e dopo aver introdotto altre due tipologie di lavoro precario (il lavoro a chiamata e quello in affitto). Mettendo tutto insieme, pare che ci sia un tentativo di utilizzare la crisi per ridisegnare l'assetto sociale del paese, prefigurando un precariato di massa e l'assenza di tutele. Sostituite da arbitrato, conciliazione, ecc. dove il lavoratore è solo e indifeso. Non a caso, forse, il ministro Sacconi, qualche mese fa dal palco del congresso della UIL ha esplicitamente affermato che ci sono tutte le “carte in regola” per andare verso un nuovo statuto dei lavoratori.

martedì 23 novembre 2010

Ora al Lavoro!

Ero e resto critico sulle modalità con cui si è svolto il congresso della Federazione della Sinistra: non ultima questione quella del cambio del simbolo, cosa della quale mi pare nessuno aveva parlato. Ritengo anche la FDS debba chiarire alcune questioni e lo debba fare in fretta: siamo alternativi al centrosinistra pur proponendo un patto “democratico” o vogliamo le liste comuni con Vendola, quindi siamo NEL centrosinistra?
Oppure, cosa significa e cosa comporta il "Patto di legislatura con il PD" invocato dal neo-coordinatore Oliviero Diliberto? Sono tutte questioni che non si possono eludere, almeno non per molto tempo.
  Perché prima o poi i nodi vengono al pettine, come dovremmo ben sapere: è dal 1995, quando si dovette decidere se sostenere o no il governo Dini dopo la crisi del primo governo Berlusconi (se "baciare il rospo" o no, come titolò "il manifesto") che i nodi vengono al pettine per noi. Possiamo consolarci - magra consolazione - con il fatto che questa legge vale e varrà anche per gli altri (quindi anche per Vendola, Di Pietro eccetera).

giovedì 18 novembre 2010

Congresso della Federazione della Sinistra di Pistoia

Di seguito riporto i video degli interventi effettuati da vari compagni e compagne al congresso territoriale di Pistoia della Federazione della Sinistra, tenutosi presso la Casa del Popolo di Spazzavento sabato 13 novembre scorso. Mancano purtroppo gli interventi di Valter Bartolini (Pdci e Lavoro e Solidarietà) e di Paolo Baccani (presidente della commissione di Garanzia della federazione di Rifondazione Comunista)perché non sono riuscito a registrarli.

mercoledì 17 novembre 2010

Ciao Moreno


Ciao, Moreno. E' retorico ringraziarti per essere stato uno dei miei "maestri" di militanza comunista. E' retorico ringraziarti per i tuoi modi semplici, talvolta spicci ma sempre e comunque chiari, che andavano diritto al cuore delle questioni senza girarci intorno.

martedì 16 novembre 2010

La Federazione della Sinistra e tre nodi da sciogliere



Sono in corso le assise congressuali locali del congresso costituente della Fedearzione della Sinistra. Un po' in ritardo, sarebbe stato meglio avanzare la nostra proposta prima che venisse oscurata dalla luce dell'astro di Vendola, ma tant'è, sorvoliamo sui motivi che possono aver ritardato di quasi un anno e mezzo la nascita di questo soggetto politico dalla sua prima apparizione alle elezioni europee del 2009.
Certo è che la Federazione, se vuole avere un futuro ha da sciogliere, secondo me, almeno tre nodi.
Il primo è il nodo della democrazia interna, del valore che avranno gli iscritti, i militanti, le istanze di base nella Federazione. La mia sensazione nel partecipare al congresso di Pistoia è stata di una certa "inutilità". Abbiamo fatto un congresso dove i congressi locali non eleggevano né delegati né organismi, perché tutto viene fatto con alchimie di quote fra i soggetti politici che compongono la Federazione. Fa sempre piacere passare un po' di tempo con i compagni a discutere di politica, ma il fatto di non poter dire la mia sui delegati, di non poter discutere di organismi, di far trapelare di quella giornata di discussione anche intensa e appassionata solo un modulino con scritto quanti sono intervenuti, quante donne, quanti invitati, quanti voti ha preso il documento e poco altro mi ha fatto sentire quel congresso poco utile alla (ri)costruzione della sinistra di alternativa. E mi pareva che questo senso di inutilità fosse palpabile nella platea dei presenti. Mentre Vendola impazza e prende ulteriore ossigeno dalla vittoria di Pisapia cosa fa la Federazione della Sinistra per rimettersi in gioco? Impegna le sue aree, subaree eccetera nella scelta dei delegati da effettuarsi con il bilancino per rappresentare tutti. Tutti che poi è nessuno. Alcuni compagni di Pistoia, anche molto seri, non hanno partecipato al congresso per vari motivi. Chi aveva impegni familiari, chi doveva ad esempio raccoglire le olive (vero!). Sono convinto che se non ci fosse stato questo sentimento di inutilità, se il congresso della Federazione della Sinistra fosse stato percepito come una occasione davvero storica di rilanciare la sinistra di alternativa, avrebbero rimandato di un giorno la raccolta delle olive o si sarebbero organizzati diversamente i propri impegni familiari.

martedì 9 novembre 2010

La Federazione della Sinistra a Pistoia: l'unità e la radicalità




Da mesi a Pistoia siamo impegnati nella costruzione della Federazione della Sinistra: militanti dei soggetti costituenti, ma anche semplici cittadini, lavoratori, studenti non iscritti a nessun partito.

Crediamo nell'idea di un soggetto politico plurale della sinistra di alternativa, che non cancelli le identità, le esperienze e l'autonomia dei percorsi che lo compongono, pur auspicando l'avvio di processi aggregativi che pongano fine alla vera e propria "diaspora" subita negli ultimi venti anni dalla sinistra comunista e anticapitalista.

Crediamo nella necessità che tale soggetto si doti di un profilo politico autonomo dal blocco del centrosinistra riformista, impegnandosi nell'elaborazione di un'idea di società che offra un'alternativa al fallimento dei modelli economici e sociali del capitalismo.

Pensiamo che su queste basi la FdS debba costruire un consenso solido, durevole, dandosi un progetto politico lungimirante e coraggioso che non si esaurisca e non si giudichi nei tempi effimeri di una consultazione elettorale ma misuri la sua incisività nell'orizzonte complessivo del percorso verso una società socialista del XXI secolo.

Ci rivolgiamo a tutte le donne e gli uomini della sinistra, nessuno escluso, auspicando che la Federazione possa crescere ed allargarsi fino a diventare il luogo di incontro di tutte le culture politiche critiche e di alternativa al sistema, per dare forza alle ragioni del mondo del lavoro, che vive oggi un attacco senza precedenti alle proprie conquiste, della scuola, ridotta a scomodo orpello per una società di ignoranti ultra-flessibili, di tutte le categorie sociali schiacciate da un modello repressivo e intollerante.

domenica 7 novembre 2010

Sangue rosso contri il massacro sociale

sabato 6 novembre, alle ore 8.30 gli amministratori pubblici aderenti alla Federazione della Sinistra di Pistoia e provincia, si sono ritrovati sotto le logge dell'Ospedale del ceppo per un volantinaggio contro i tagli alla spesa sociale imposti dalla manovra del governo Berlusconi. Una deelgazione di questi (Roberto Fabio Cappellini, vicepresidente della provincia; Desdemona Raspa, vicesindaco di Pieve a Nievole; Luisa Soldati, vicesindaco di San Marcello Pistoiese; Vincenzo Mauro, assessore al comune di Quarrata) si è recata presso la sede dell'Avis per effettuare una donazione collettiva di sangue; un piccolo gesto di solidarietà concreta che ha lo scopo di ricordare come il governo Berlusconi stia dissanguando i lavoratori ed il paese tutto

martedì 6 luglio 2010

Intervento alla presentazione del libro "Memorie comuniste" di Renzo Bardelli


“Memorie comuniste”, ultima fatica editoriale di Renzo Bardelli è un libro ambivalente: da una parte una critica ferrea e spietata (che talvolta mi pare sfociare nel livore e nel risentimento, quindi difettando di “lucidità” dell’analisi) all’esperienza del cosiddetto “socialismo reale”, del PCI (specie di quello pistoiese), di tutto il movimento comunista internazionale del XX secolo. Dall’altra il riconoscimento del grande afflato ideale che ha animato la vicenda di quel partito.

Comprendo questa “ambivalenza”, perché dalle pagine di questo libro traspare la grande “passione” di Bardelli per il Partito Comunista Italiano. E come tutte le grandi passioni, quella di Bardelli per il suo vecchio partito, è un complesso di sentimenti anche contraddittori fra loro. Come i grandi amori che contengono sempre una stilla d’odio; come l’odio più intransigente, che contiene sempre un po’ di ammirazione. Questo mi pare essere stato il PCI per Renzo Bardelli. Il grande partito di popolo che lo accoglie, ne fa un dirigente ed un amministratore stimato, ma che dispensa grandi delusioni, affronti tutti politici, certo, ma che assumono una coloritura “personale”. Il grande partito che dà l’opportunità di conoscere il mondo (si vedano i viaggi in Grecia, Jugoslavia, Russia eccetera che Bardelli fa grazie al PCI), di conoscere persone dalle quali imparare, ma che fa anche piangere, e non metaforicamente.

venerdì 2 luglio 2010

Africa: dopo il mondiale restano le tragedie


Il mondiale sudafricano si avvia verso la conclusione. Ritengo che sia stato importante la disputa del torneo di calcio più importante del mondo in una nazione africana e soprattutto in quella nazione africana che solo pochi lustri fa era caratterizzata da un sistema politico e sociale basato sull'apartheid e che oggi rappresenta un esempio di democrazia multietnica (almeno dal punto di vista politico, dal punto di vista sociale ed economico ne siamo ben lungi). E tutti abbiamo bene impressa in mente l'immagine di quel vecchio uomo di colore, segnato da decenni di carcere ai tempi della dittatura dei bianchi, che il 15 maggio 2004, al momento dell'assegnazione del mondiale 2010 al Sudafrica, la sua nazione, si precipita ad abbracciare la coppa del mondo felice come un bambino. Tutti abbiamo in mente il sorriso di Nelson Mandela che abbracciava il trofeo più ambito e ci è sembrato (o almeno a me è sembrato), che questo potesse essere l'emblema del riscatto di quel continente immenso, bellissimo, tragico e dimenticato che si chiama Africa. Quel continente che quando lo vedi per la prima volta ti rendi conto che fino al giorno prima non sapevi nulla di come funziona il mondo. Quel continente che ti si installa nell'anima e non ti lascia.
Ma al di là delle vuvuzelas, di waka waka, dei bafana bafana; al di là de fatto se le "stelle nere d'Africa", il Ghana, vinceranno o no, mi pare che questo mondiale (e non poteva essere altrimenti, forse) abbia solo contribuito a dare una verniciata al continente, coprendolo con una bella patina di colore vivace e sgargiante come gli abiti tradizionali africani. Tra poco il caravanserraglio della FIFA lascerà quel lembo d'Africa e l'Africa resterà sola di nuovo con le sue tragedie, senza che la coscenza dell'opinione pubblica mondiale abbia fatto passi in avanti su questi temi, senza che qualche capo di governo occidentale abbia (ri-)proposto la cancellazione del debito e (soprattutto) un nuovo sistema di rapporti intenazionali che impedisca la generazione di questo debito (altrimenti il giorno dopo la cancellazione del debito ci sarà nuovo debito).
Il 12 luglio l'Africa sarà quindi di nuovo sola con le sue tragedie: 35 milioni di persone che soffrono la fame; oltre 6 milioni di sfollati interni ( che vivono in baraccopoli fatiscenti) ed altri milioni di persone costrette ad abbandonare la loro terra d'origine per sfuggire alle guerre e alla povertà; bambini di sette anni rapiti dai signori della guerra, costretti ad uccidere e a praticare il cannibalismo nei confronti dei "nemici"; 2 milioni di bambini sotto i cinque anni morti ogni anno a causa della malaria; 250 milioni di persone che fanno i conti con la mancanza di acqua (che noi, allegramente pensiamo a privatizzare... incoscenti!!!); l'AIDS che in alcune zone infetta oltre il 30% della popolazione, mentre qualcuno ancora va in Africa a parlare del condom come strumento demoniaco; elites che vivono nel lusso mentre la gran parte degli uomini e delle donne di quel continente vive nella miseria e nell'ignoranza.
Spero di sbagliarmi, ma sono quasi convinto che sarà così. Che il 12 luglio ci saremo di nuovo dimenticati dell'Africa (dei cui drammi comunque nessuno sta parlando in questi giorni...), che ce ne ricoderemo solo per cercare un resort per le nostre vacanze, oppure quando vedremo alla Tv un bel documentario sul Serengeti o sul Kilimangiaro. O peggio per un po' di carità pelosa, per sentirci in pace con noi stessi. Magari acquistando un CD benefico di Bob Geldof, bravo artista specializzato nel trovare risposte semplicistiche a problemi molto complessi (tipo la coltivazione di biocarburante in un continente dove si muore di fame!), oppure lasciando la monetina del carrello al supermercato al vu' cumprà che viene ad aiutarci a caricare la spesa in macchina.

mercoledì 23 giugno 2010

Cronache familiari del ventennio


Mi sono tornate in mente tre storie minime. Tre storie che fanno parte di quell'epica familiare, un tempo tramandata oralmente da nonne e vecchie zie zitelle, magari la sera a veglia, davanti al camino. Quelle storie che col passare degli anni divenivano sempre più elaborate arricchendosi sempre di più di elementi magici (dai sogni premonitori, alle streghe, ai morti che ritornano), fino a divenire una vera e propria mitologia familiare, talvolta con tanto di veri e propri "numi tutelari", trasformando qualsiasi "stirpe" più o meno normale in una sorta di famiglia Buendia.


Sapendo che in genere queste storie interessano solo i membri della famiglia, mi limiterò ad alcuni elementi essenziali:




Prima storia


Mio nonno paterno si chiamava Decimo, era nato nel 1891. Era un anarchico "naturale", nel senso che certamente non aveva letto Bakunin e che forse non aveva mai neppure udito il termine "anarchia"; era semplicemente refrattario all'autorità e alla disciplina imposta da qualcun'altro. A sei anni, pochi giorni dopo l'inizio della scuola, si rifiuta di tornarci, scelta non osteggiata dai genitori che lo misero subito a lavorare nell'osteria di famiglia. Dopo qualche anno da emigrante in Svizzera, fu richiamato in Italia allo scoppio della Prima guerra mondiale. Fu arruolato e spedito al fronte, non so dove. Ma non aveva alcuna intenzione di morire per il Re, per cui si procurò una malattia agli occhi che lo accompagnerà per qualche anno. Tuttavia ottenne il suo obiettivo, quello di farsi riformare. Anni più tardi, quando il fascismo era governo da oltre 10 anni fu chiesto a lui e a sua moglie Amelia, nata nel 1897, di cedere la fede nuziale al governo per finanziare la guerra di Etiopia. Era la campagna dell'"oro alla Patria". I due, pur sapendo che non rispondere a questo invito avrebbe causato una "attenzione particolare" della camicie nere, decisero di gettare le fedi nuziali nel pozzo, per evitare di ripensarci, magari dopo essere stati intimoriti da qualche picchiatore locale. Cosa che avvenne (mio nonno fu picchiato una sera mentre si recava al bar per la solita briscola con gli amici), ma ormai le fedi nuziali giacevano sul fondo del pozzo. Ancora un paio di anni e mio nonno fu posto davanti ad un altro ricatto: o prendeva la tessera del PNF o nessuno l'avrebbe più fatto lavorare (a quei tempi faceva il cavatore di rena). A quei tempi aveva cinque figli e nessun altro reddito, oltre all'affitto da pagare. Ma mio nonno non ci pensò un attimo. Non avrebbe mai aderito al fascismo. Perse il lavoro e la famiglia precipitò nell'indigenza più estrema.




Seconda storia:


Mio nonno materno si chiamava Nello, era nato nel 1907. Quando Mussolini andò al potere aveva 15 anni. Con alcuni amici si divertiva a mettere in pratica una forma di opposizione "goliardica" al regime: salivano su un poggio coperto di boschi e cantavano a squarciagola l'Internazionale, fino all'arrivo della camionetta delle camicie nere. Quindi, fra grasse risate, si disperdevano nei boschi ed attendevano che i fascisti (che si guardavano bene di avventurarsi nella selva) se ne andassero. Dopo di che ricominciavano a cantare. Questa credo che sia stata la sua unica attività politica. Di politica, anche dopo la guerra, non ne parlava mai. Diceva solo di ammirare Pietro Nenni.


Alla fine degli anni '30 aveva quattro figli, una casa da pagare e un moglie sarta che non guadagnava molto, dovendosi più che altro dedicare alla cura dei bambini. Mio nonno faceva l'operaio filatore nell'azienda di un suo cugino, che un giorno lo chiamò e gli disse che se non avesse preso la tessera del PNF avrebbe dovuto cacciarlo. Mio nonno rispose subito, senza tentennamenti. Non avrebbe preso quella tessera. Venne licenziato e la famiglia si ritrovò a dover vivere con il misero reddito di mia nonna. La quale fu comunque contenta della scelta fatta dal marito.



Terza storia:


Mio zio Enzo era nato nel 1923, era il fratello maggiore di mio padre. L'8 settembre del 1943 faceva il soldato vicino a Bolzano. Si riteneva fortunato, perché Bolzano si trovava sul confine con il Terzo Reich, quindi ben lontano dal fronte. Invece fu uno dei primi ad essere catturato dai soldati della Whermacht e ad essere spedito in un campo di concentramento in Westfalia. Appena arrivato, lui ed i suoi commilitoni, trovarono un ufficiale saloino che offrì loro l'arruolamento nell'esercito della RSI, in cambio della liberazione, offrendo la possibilità di "riscattare l'onore d'Italia" e soprattutto licenze e possibilità di rivedere i propri cari a breve. Mio zio e molti altri rifiutarono e rimasero nel lager. Dopo qualche settimana di lavoro durissimo e di una dieta abbastanza misera (mio zio ricordava che, per mangiare qualcosa in più andava a raccogliere le bucce delle patate nella spazzatura della guarnigione del campo... e attenti a non farsi vedere!) l'ufficiale repubblichino tornò alla carica. Di nuovo quasi tutti rifiutarono. Qualcuno cedette, per la voglia di rivedere la fidanzata, qualcuno perché non sopportava più quella fatica, o quella fame, o quelle umiliazioni. Passano altre settimane, stessa storia e ancora quasi nessuno accetta la proposta. E via così fino alla fine. Mio zio tornò a casa solo due anni più tardi, dopo la caduta del nazismo, facendosi la gran parte del viaggio a piedi. Per due anni resistette alla voglia potente di riabbracciare la propria fidanzata, i propri genitori, i propri fratelli e sorelle. Per due anni sopportò quella fatica, quella fame, quelle umiliazioni. I vicini di casa, che lo avevano visto nascere, non lo riconobbero tanto era denutrito. Aveva resistito al ricatto di quell'ufficiale fascista.
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Tre storie normali, quindi. Come forse ce ne sono in quasi tutte le famiglie. Non si parla di eroi dalle gesta leggendarie. Solo di persone comuni che, di fronte ad odiosi ricatti, scelsero di non perdera la propria dignità e di poter continuare a camminare con la schiena dritta. La storia ha dato loro ragione ed io sono orgoglioso di loro. Tre storie che, chissà perché, mi tornano in mente proprio oggi, all'indomani del plebiscito di Pomigliano.

lunedì 21 giugno 2010

Pontida e la tigre di carta



Ieri, 20 giugno 2010, sotto una pioggia battente che non è stata sufficiente a raffreddare i bollenti animi dei secessionisti padani, si è tenuta l'ennesima kermesse leghista a Pontida. Abbandonati i riti pagani pseudo-celtici dell'ampolla con l'acqua del Po (poco redditizi dal punto di vista elettorale e poco conciliabili con le grandi battaglie civili leghiste, vedi il crocifisso nelle scuole o l'opposizione alla costruzione di moschee, anche se i fedeli islamici se le pagano fino all'ultimo centesimo), rimane il farsesco secessionismo parolaio e buzzurro di Bossi & co.

Calderoli è il primo a parlare di secessione "Se non ci sarà il federalismo ci potrà essere solo la secessione"; Bossi rilancia: "Quanti uomini ci sono che, se venisse il momento potrebbero battersi? Secondo me qualche milione", aggiungendo subito che, però, lui è per la via pacifica, bontà sua. Niente di nuovo, siamo abituati al folklore dei leghisti. Parole in libertà, fra un cappello da vichingo e un tizio travestito da indiano. Se non fosse che la Lega è un partito di governo e che i due signori sunnominati sono ministri della Repubblica Italiana, con ufficio in quel di Roma ladrona.

Ora: è normale che un ministro della Repubblica invochi la secessione e che un altro ministro della Repubblica minacci che "se venisse il momento" c'è qualche milione di uomini pronti a battersi per l'indipendenza della cosiddetta "Padania"?

A prescindere dal fatto che non credo che dietro a queste minacce ci possa essere qualcosa di concreto: ve li immaginate tutti i "cumenda" brianzoli o i piccoli imprenditori del nord-est, lasciare la fabbrichetta ed imbracciare il fucile per la libertà della Padania? Lasciando magari la commessa appena conquistata grazie alla quale si possono finire di pagare le rate del mutuo della villetta costruita accanto al capannone. Non scherziamo! Abbiamo ancora bene in mente la farsa dell'attacco al campanile di San Marco con una motozappa travestita da blindato!

Si tratta solo, secondo me, di un tentativo di mantenere credibilità sul fronte della sempre promessa e (ovviamente) mai raggiunta secessione, caricata del significato di "soluzione a tutti problemi" (dalle tasse alla delinquenza), da parte di un gruppo dirigente spaccone che si è ben accomodato sui comodi scranni di "Roma ladrona" e che negli ultimi 16 anni è stata al governo o ha fatto parte di maggioranze di governo per 10 anni, senza fare passi apprezzabili non solo verso la mitologica "secessione", ma neppure verso il più terreno "federalismo", veste accettabile dell'egoismo odioso espresso dal blocco sociale ed elettorale leghista. "Federalismo" che, peraltro, è assai mal conciliabile con la politica di tagli agli enti locali del governo Berlusconi, contro la quale ha alzato la cresta anche un fedelissimo come Roberto Formigoni. Non è un caso se ieri, a Pontida, i sindaci leghisti hanno disertato l'iniziativa, a partire dal sindaco di Varese, Attilio Fontana, che non ha i soldi per mettere a norma lo stadio cittadino, ora che il Varese è tornato in serie B e che dovrà, presumibilmente giocare le partite in un'altra città. Una stupidaggine, certo, ma dall'altissimo valore simbolico. Per non parlare del fatto che, nonostante la promessa dei neo-governatori leghisti di euro sonanti alle aziende che non delocalizzano (unica ricetta anticrisi cha ha in mente la Lega), aziende come la Bialetti se ne sono già andate ed altre (come la Merloni) minacciano di farlo.

Certo, tutto ciò non fa la lega meno pericolosa, dal punto di vista dell'odio razziale che esprime, delle politiche iperliberiste che sostiene, dell'egoismo della sua base sociale. Ma si tratta di capire che, per citare Mao tze Tung, la Lega altro non è che una "tigre di carta". Continuerà a ruggire fino a che riuscirà a mascherare la sua inconcludenza dal punto di vista politico con le sue ormai datate ma sempre buone parole d'ordine sulla secessione, su "Roma ladrona", sul lavoro che lo portano via gli immigrati e, magari, anche sui meridionali che puzzano (come potrebbe spiegarci l'europarlamentare Matteo Salvini). Quando finalmente tutta l'inconsistenza di Bossi e i suoi seguaci (al pari di quella famosa motozzappa travestita da blindato, ottima metafora della Lega Nord) e la loro essenza parolaia verranno fuori allora una risata li seppellirà. Speriamo che nel frattempo non abbiano fatto troppi danni.

venerdì 18 giugno 2010

Pomigliano, Italia


La storia è tristemente nota: l'Ad della Fiat, Sergio Marchionne, annuncia un nuovo modello di lavoro nello stabilimento di Pomigliano: turni più pesanti, straordinario obbligatorio (!), divieto di sciopero. Non è una proposta, è una affermazione: o così o la Panda la continuiamo a costruire in Polonia. Fim e Uilm accettano, il Governo esulta (si sono divisi, Fiat e Governo, i compiti per quanto riguarda l'attacco alla Costituzione). La Fiom si opone con fermezza, scontando anche qualche attrito interno alla Cgil. Quello che però sconvolge è certo centro-sinistra che in sostanza dice: "è vero la proposta di Marchionne è dura, quasi irricevibile. Un vero e proprio ricatto... però..." e qui parte la solita sequela: meglio lavorare in brutte condizioni piuttosto che non lavorare affatto, l'assenteismo, il rischio delocalizzazioni.... Insomma, un armamentario dialettico complementare a quello di Fiat e Governo.


Il punto è, però, un altro: se si accettano i ricatti, se si accetta il fare carta straccia della costituzione (nello specifico art. 40 e 41) si sa dove si comincia e non dove si finisce. Alla competizione al ribasso non c'è mai limite... e di strada ce n'è da fare se vogliamo arrivare competere non con la Polonia, ma con la Cina, dal punto di vista dei salari. Sorvolo sul fatto che per uscire dalla crisi la strada non dovrebbe essere quella della competizione sui costi di produzione, ma quella dell'investimento in ricerca e tecnologia, cosa che questo governo (ma anche quelli precedenti) evidentemente non condivide, vista la situazione dei nostri ricercatori, vista la condizione della nostra scuola, visti i continui tagli alla cultura e alla ricerca. Perché mi si deve spiegare come mai se è vero che il primo esportatore mondiale è la Cina, come mai il secondo (a ruota) è la Germania, che ha salari molto più alti dei nostri e la nostra stessa moneta. E poi: come mai chi si straccia le vesti (giustamente) quando si parla di attacchi alla costituzione che riguardano magari la libertà di stampa o la giustizia, è disponibile a tollerare attacchi altrettanto gravi alla costituzione sul lavoro? Attacchi che peraltro non arrivano neppure dalla politica, ma direttamente da un "padrone" (che da questa "Repubblica fondata sul lavoro" ha ottenuto anche lauti aiuti economici). Perché, appunto, la Costituzione dice che l'"Italia è una Repubblica fondata sul lavoro". La Costutuzione italiana non è solo un complesso ed elegante sistema di equilibri fra i poteri, né un semplice elenco di diritti e doveri. E' soprattutto la legge fondamentale di uno stato che, pur all'interno del campo occidentale, quindi capitalista, si poneva la priorità di difendere il lavoro e tutelare le classi più deboli. Per questo oggi Berlusconi non va solo combattuto per i suoi attacchi alla magistratura, alla libertà di stampa, ma anche e soprattutto per i suoi attacchi schiettamente e coerentemente DI CLASSE ai lavoratori. E come lui va combattuto chiunque faccia carta straccia della Costituzione. Ed una azienda che si permette di "disapplicare" i diritti dei lavoratori entro i propri cancelli, di fatto fa carta straccia della Costituzione. La lotta della Fiom riguardo a Pomigliano ha un valore che va oltre quella fabbrica: comporterà una "riforma costituzionale de facto" che poi sarà estesa a tutti i luoghi di lavoro, a tutti i lavoratori. E' una lotta che guarda molto molto lontano, su entrambi i fronti, anche quello confindustriale. Non a caso dopo la battaglia di CGIL e PCI sul referendum per il recupero dei punti di contingenza (credo fosse l'85...) è arrivata la fine della scala mobile, il lavoro atipico, la legge 30, l'attacco all'articolo 18... fino ad arrivare a Pomigliano, che segna un punto di svolta perché non si limita ad attaccare solo diritti conquistati con lotte durissime, ma attacca direttamente il diritto di sciopero e la possibilità stessa dei lavoratori di rivendivcare i propri diritti. Il lavoro è un valore in quanto permette di avere un posto nella società ed una dignità. Se non permette più tutto ciò diviene schiavitù. Con la differenza che almeno agli schiavi si garantiva vitto e alloggio...

venerdì 11 giugno 2010

"Gli operai con gli studenti"



"Capitalisti, state attenti... gli operai con gli studenti!" recitava un vecchio slogan del '68. Nella sua semplicità questo slogan indica la forza dirompente che può avere la creazione di un legame solidaristico fra due gruppi sociali, due generazioni. Due gruppi sociali e due generazioni oggi sotto pesante attacco da parte delle politiche antipopolari del governo Berlusconi. Due gruppi sociali e due generazioni, quindi da cui ripartire. Dovremmo cercare, come Federazione della Sinistra, di riconnettere le lotte degli studenti in difesa della scuola pubblica e di una prospettiva di vita che non sia solo precariato con le lotte dei lavoratori. Tutti: sia quelli che lottano per la difesa del loro posto di lavoro, sia quelli che l'hanno perso a causa della crisi, ma anche di quei dipendenti pubblici che si sentono sbeffeggiati da un Presidente del Consiglio che ne blocca i contratti come misura per fare cassa mentre acquista uno yacht di 37 metri al figlio per la modica cifra di 18 milioni di euro. Unire lavoratori e studenti per creare massa critica da spendere nelle lotte che ci dovranno vedere impegnati nei prossimi mesi (nell'autunno, ma anche prima) contro il governo Berlusconi, ma non solo: nei mesi scorsi siamo riusciti (almeno nel nostro territorio), a ricostruire una interlocuzione col mondo del lavoro, a partire dalle realtà industriali colpite dalla crisi. Dopo anni siamo tornati ad essere interlocutori degni di ascolto da parte di molti lavoratori. Perché abbiamo ascoltato, abbiamo dimostrato il nostro impegno ed interessamento non solo a parole, abbiamo dato tangibili segnali di solidarietà. E soprattutto il nostro interessamento non è stato limitato al periodo elettorale. Per questo siamo riusciti a ri-comnnetterci con la nostra classe di riferimento (triste che ce ne sia stato bisogno, ma tant'è...) nonostante non potessimo offrire nessun personaggio influente a Roma che potesse occuparsi della questione.
La stessa cosa è avvenuta per quanto riguarda il mondo studentesco grazie ai "nuovi " Giovani Comunisti, che qualche mese fa riuscirono a coinvolgere un'affollatissima assemblea della CGIL nell'intonare "Bandiera Rossa".
Abbiamo lavorato, credo, abbastanza bene. Ora si tratta di fare un salto di qualità: abbiamo ricoinquistato capacità di farci ascoltare da studenti e lavoratori. Ora occorre dare loro una prospettiva politica. Far capire che la sinistra comunista esiste ancora e ancora è al loro fianco. Mettendo in chiaro che la solidarietà fa piacere ma non riempie la pancia, mentre le proposte politiche possono risolvere qualche problema concretamente. E noi da questo punto di vista abbiamo fatto (ad esempio la proposta di legge regionale sul lavoro). Altri invece avranno da spiegare qualche contraddizione: ad esempio cosa pensano, appunto, della nostra proposta di legge, oppure come mai si sono astenuti sul nostro ordine del giorno in Regione Toscana contro la soppressione dell'ISPESL (nel caso concreto mi riferisco all'Italia dei Valori), mentre a livello nazionale i loro parlamentari hanno avuto un atteggiamento diverso.
Ragioniamo di questo: del lavoro, dell'attacco del padronato e del governo ai diritti del lavoro (l'attacco all'articolo 18, ma anche l'attacco ai diritti sindacali di Marchionne e della Fiat, sotto ricatto di delocalizzare), della proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Fiom relativa alla democrazia sindacale. Parliamo di una scuola pubblica di qualità, parliamo di ricerca come volano per uscire dalla crisi.
Parliamo di tutto questo, uscendo dalle nostre stanze e parlando ai lavoratori e agli studenti, smettendola per un attimo di discutere attorno al nostro ombelico, se si debba in assoluto uscire o stare nelle coalizioni di centrosinistra, se si debba costituire un unico partito comunista o unire tutta la sinistra. Parliamo di questo, torniamo a fare politica. Forse tornerà anche il consenso.

lunedì 31 maggio 2010

La Linke, il KKE ed il senso della realtà


Confesso che a volte trovo incomprensibile il dibattito nel mio partito. Non tanto per come si discute (oramai lo si fa molto via facebook o via blog, ma tant'è...), e neppure tanto per i temi di cui si discute, quanto per la pericolosa "scissione" fra il nostro dibattito e i bisogni delle classi che vogliamo rappresentare.

E' possibile, ad esempio, che in una situazione di crisi come quella attuale, a causa della quale centinaia di migliaia di lavoratori sono espulsi dai processi produttivi e sbattuti oltre la soglia di povertà, in cui il governo vara una manovra che causa un massacro sociale, tutela i ricchi e non scalfisce l'evasione fiscale, noi, i COMUNISTI, perdiamo tempo ed energie preziose (perché poche) in dibattiti attorno al fatto se sia meglio fare la Linke o se sia meglio seguire l'esempio del KKE? Non sto scherzando, basta girare un po' su internet per vedere che è così. Il nostro dibattito non è sulle proposte di lotta contro la manovra di Tremonti e Berlusconi, non è su una nostra contro-proposta in materia di politica -economica (sulla base della quale misurarsi anche con PD, IDV e SEL, magari...). Il nostro dibattito è fra chi vuole il partito comunista unificato quieora e chi invece propone il modello della Linke tedesca. Come se un modello organizzativo potesse di per sé stesso risolvere i nostri problemi, che sono invece di tutt'altro tipo. Con una facile battuta potrei dire che se dovesse esserre così, sceglierei a occhi chiusi: sia la Linke che il KKE hanno risultati elettorali, politici e organizzativi incommensurabilmente superiori ai nostri. Se bastasse assumere uno dei due modelli organizzativi per raggiungere questi risultati... beh... allora rilancerei: il nostro modello deve essere AKEL, il partito comunista cipriota che supera il 30% dei consensi elettorali e che esprime il Presidente della Repubblica: vediamo chi mi batte! (ovviamente non sono in gara i Partiti comunisti dei pochi paesi socialisti superstiti o sedicenti tali).

Cerco di calarmi nell'ottica del lavoratore cassintegrato, magari uno di quelli che fino a ieri si riteneva fortunato per avere un lavoro "fisso", a tempo indeterminato, con i propri diritti sindacali riconosciuti... un operaio che magari ha sempre votato a sinistra ma che non è mai stato organico al nostro partito e che oggi ha necessità di qualcuno che gli ri-insegni a lottare. Lottare per il proprio posto di lavoro, lottare per la propria prospettiva di vita, lottare contro le politiche antipopolari di Berlusconi. Un lavoratore che quindi, dopo aver tradito la sinistra nel 2008, si rende conto di quanto ha bisogno della sinistra e dei comunisti. Questo lavoratore allora si volta a guardarci, ad ascoltarci e cosa sente: che i pochi comunisti rimasti, quelli che hanno mantenuto una prospettiva anticapitalistica quando il capitalismo sembrava infallibile e indistruttibile, quelli che quindi partirebbero in vantaggio in un momento di profonda crisi del capitalismo, ebbene, quelli lì sono intenti a litigare sul fatto che sia migliore il KKE o la Linke. In subordine li vede litigare sul fatto che i comunisti debbano uscire da tutte le maggioranze di governo locali in cui sono impegnati o se debbano rimanerci. Ovviamente in assoluto, senza un riscontro di ciò che ci facciano o meno in quelle maggioranze.


Se questo lavoratore ci volta le spalle, questa volta definitivamente, lo posso capire. Probabilmente ha una idea confusa di cosa sono Linke e KKE, probabilmente non gli importa granché del fatto che i nostri compagni siano o meno nelle giunte degli enti locali. Probabilmente vorrebbe solo sentirsi dire che esiste un'altra possibilità, un'altra politica economica e che esiste qui e ora. Probabilmente vorrebbe incontrare dei compagni e delle compagne in carne ed ossa che siano in grado di ascoltarlo, di offrirgli una prospettiva politica e magari insieme di dargli una mano a risolvere il problema contingente.


Per questo da blog molto più letti di questo, seguito credo da qualche compagno e amico, ho sempre detto che a mio parere dovremmo cercare, come Federazione della Sinistra, cercare di caratterizzarci su poche questioni cruciali: il lavoro, i beni e servizi pubblici, il partito sociale. cercando magari nel contempo di riorganizzare le nostre file. Insomma: la costruzione del soggetto politico portatore di una cultura anticapitalista deve partire, appunto, dalla politica, cioè dal lavoro di radicamento e dall'elaborazione di una proposta anticapitalistica immediatamente percepibile ed "aasimilabile" da parte dei nostri soggetti sociali di riferimento. Dopo di che le condizioni determineranno la forma organizzativa più adatta. Dire "voglio fare il KKE o la Linke all'italiana" a prescindere dal contesto, solo per una preferenza ideologica e aprioristica per uno dei due modelli, vuol dire pensare di costruire un palazzo partendo dal tetto.


Ma soprattutto dovremmo cercare di attenerci ad un dibattito che abbia qualche punto di contatto con la realtà. Altrimenti la nostra inutilità non sarà data dal fatto che qualcuno farà l'appello al voto utile, dal fatto che rischiamo di non rientrare in Parlamento. La nostra inutilità sarà data dal fatto che saremo, davvero inutili. E anche un po' patetici: come quei gruppuscoli, ferrei nella loro convinzione di avere in tasca la verità (che però non riescono a guidarci al trionfo del socialismo, forse perché ci sono troppi falsi comunisti che turlupinano il proletariato... sembra di leggere i dispacci del PMLI!) che fanno dichiarazioni altisonanti sulla loro volontà di rifare il PCI. Dimostrando di non avere né il senso della realtà né il senso del ridicolo.


venerdì 28 maggio 2010

La signora Giuliana, Tremonti e la signora Emma

La signora Giuliana (nome di fantasia) abita a pochi metri da casa mia. Ha settant'anni circa, vive sola con il marito di quasi ottanta, i figli sono fuori casa da tempo. La conosco da sempre e sono quasi certo che abbia sempre votato comunista. Qualche giorno fa, salutandola, l'ho vista parecchio amareggiata. "Tutto bene?" ho chiesto. Mi ha risposto che no, non andava affatto tutto bene. Perché la "stangata" di Tremonti e Berlusconi da 25 miliardi rischia di fargli perdere i circa 100 euro mensili di pensione di invalidità che la signora Giuliana ha ottenuto circa 20 anni fa dopo un brutto incidente sul lavoro che l'ha lasciata un po' claudicante. "Io e mio marito", mi ha detto "insieme non arriveremo a 1000 euro il mese. Lo sa Dio se quei 100 euro in più ci facevano comodo". Invece no. La signora Giuliana (invalida, anche se non grave, del lavoro) rischia di dover pagare cara la crisi che, non avendo, credo, mai speculato in borsa, non avendo acquistato titoli spazzatura, non avendo mai avuto contatti con agenzie di rating, non ha davvero contribuito a generare. E come lei la pagheranno i dipendenti pubblici, con i loro rinnovi contrattuali bloccati (Berlusconi dice: non è un dramma se saltano un giro. Non lo sarebbe se anche i prezzi non aumentassero...); la pagheranno tutti coloro che dovranno far fronte all'inevitabile taglio dei servizi che verrà oparato dagli enti locali (che si vedono tagliati 13 miliardi di euro); da chi dovrà spendere 7 euro e mezzo a ricetta (quindi, con i suoi acciacchi, ancora la signora Giuliana) eccetera eccetera. Non la pagheranno gli evasori fiscali, che potranno indisturbati continuare a sottrarre al fisco 156 (CENTOCINQUANTASEI!) miliardi di euro all'anno (più di sei volte la manovra di Tremonti e Berlusconi), con una media di quasi tremila euro a testa sottratti al fisco (compresi i neonati e tutte le signore Giuliana d'Italia). Intanto un'altra signora, la signora Emma, molto più fortunata della mia vicina, perché può confidarsi - anziché con il dirimpettaio - direttamente attraverso le prime pagine dei maggiori quotidiani , è anche lei, poverina, non del tutto contenta della manovra di Tremonti e Berlusconi. Bene che non siano tassate né le garndi rendite, né i grandi patrimoni, né la speculazione finanziaria; bene che non ci sia una stretta sull'evasione o sui grandi redditi. Ma un neo c'è: troppi pochi tagli al welfare. Beh, meno male che almeno lei non ha una piccola pensione di invalidità, come la signora Giuliana. Altrimenti gira e rigira, il prezzo della crisi lo pagava anche lei...

mercoledì 26 maggio 2010

Il modello sociale del Sole 24 Ore

Leggo spesso "ventiquattro", magazine del Sole 24 Ore. Nell'ultimo numero della rivista si fa un bel servizio sui giovani: come portabandiera delle nuove generazioni, in questo servizio, si propone Amelia Andersdotter, 22 anni, europarlamentare svedese del Partito dei pirati, movimento politico che ha come sua principale rivendicazione il superamento del copyright e la possibilità di scaricare contenuti liberi da vincoli imposti dal diritto d'autore. Battaglia anche giusta e condivisibile, si dirà. Certo, magari un po' secondaria rispetto ad altre: che so, la battaglia per la difesa del posto di lavoro, per una scuola pubblica di qualità, per una sanità pubblica decente. Ma tant'è... evidentemente in Svezia non hanno di questi problemi, buon per loro. E ad ogni modo il "partito dei pirati" è un fenomeno sociale interessante e singolare, che va certamente indagato.



Successivamente, dopo la classica "sfilarata" di ragazzotti e ragazzotte parecchio intelligenti che hanno creato qualcosa di nuovo (più o meno utile), arriva il "gran finale". Un certo Mr. Black che con un pezzo di raro giornalismo d'inchiesta, si finge imprenditore brianzolo che cerca falegnami (età 25-30 anni, con esperienza si intende: il nostro chiarisce subito che non vuole 17enni brufolosi. A questo punto ci sorge una domanda: e se nessuno li prende a lavorare, questi diciassettenni, che caspita di esperienza si possono fare, di qui e che avranno 25 anni? Ma qui si andrebbe nel difficile, non vorrei mettere in difficoltà il "nostro" reporter d'assalto). Per giungere finalmente al punto: in Brianza ci sono troppi laureati in filosofia, che non troveranno mai lavoro e al contrario mancano falegnami. Eccoci al punto, eccoci al modello sociale che ha in mente il Sole 24 Ore: i giovani è meglio che non studino ...e il loro istinto di ribellione è bene che si incanali verso il download abusivo di mp3. Ovviamente esulando la domanda che ci si faceva prima (come fa un diciassettenne che decide di fare il falegname a farsi esperienza, per essere assunto dal famoso mobilificio "Arredamenti da Mr Black"?). Ovviamente non ci dice perché mai il liberalismo che deve valere in economia non sia riconosciuto nella cultura: si liberalizzano le licenze dei taxi, delle farmacie, dei pubblici esercizi, perché, si dice, chi ha più filo tesserà. Bene, lasciami prendere la mia laurea in filosofia in pace, se mi pare, lasciami la libertà di cercarmi il lavoro che vorrei fare, a fare qualcos'altro sono in tempo. Chiarisco subito, su questo punto: chi scrive si è laureato a 26 anni in Scienze Politiche, milite già assolto, non ha trovato un lavoro adeguato e nel frattempo ha fatto di tutto: dal giardiniere, al messo notificatore, al fruttivendolo, all'autista, per vincere quattro anni dopo un concorso nella Polizia Municipale. Non ho messo a frutto la mia laurea, ma sono felice di aver seguito le mie inclinazioni e di aver realizzato questo piccolo (grande, in realtà) sogno.

Ma torniamo al punto: come devono essere i giovani per il Sole 24 Ore? brutalmente: ignoranti e rintanati davanti al computer.

Non tutti, è chiaro: ciò non vale evidentemente per i LORO figli, che invece, pur laureandosi in filosofia, potranno sempre trovare lavoro magari nell'aziendina di papà (e non come falegnami: ci tengono alle loro falangi!)... perché il problema si sa: anche l'operaio vuole il figlio dottore.