martedì 5 marzo 2013

Un cambio di paradigma

Dopo una sconfitta elettorale devastante come quella subita da Rivoluzione Civile nelle ultime elezioni politiche verrebbero spontanee due interpretazioni, alternative ma analoghe. La prima: il "popolo" non ci ha capito. Dal 2008 in poi siamo stati in tutte le lotte possibili, dai referendum per l'acqua pubblica e contro il nucleare, siamo stati in Val di Susa a prenderci le botte assieme al movimento NO-TAV, questo inverno ci siamo presi la polmonite davanti alle fabbriche e nelle piazze per raccogliere le firme per l'articolo 18 e contro la controsirforma pensionistica, siamo stati fisicamente in prima linea nell'aiutare le popolazioni colpite dalle calamità naturali (Abruzzo, Liguria, Emilia...), a spalare fango e a preparare pasti per i terremotati. Tutto questo non è stato capito, perché poi il malcontento contro il governo Monti lo ha raccolto tutto Beppe Grillo, che tutte queste cose non l'ha fatte. Ha mandato tutti affanculo e ha detto che i politici sono tutti ladri. Il tutto condito dalla retorica che "uno vale uno" (ma lui e Casaleggio valgono qualche milione). Stop.
La seconda: non abbiamo fatto abbastanza. Non siamo stati abbastanza nelle lotte, non abbiamo abbastanza ricostruito il partito, non ci siamo fatti abbastanza capire. Se nella prima interpretazione è il popolo ad essere bove, nella seconda siamo noi a non essere stati all'altezza del compito.
Personalmente do una lettura diversa, che parte dal profondo rispetto per l'inequivoco pronunciamento popolare. Il popolo, infatti, non è che non ha capito. Ha capito benissimo e ha scelto consapevolmente, dichiarandosi fondamentalmente disinteressato alle nostre lotte e a chi le ha portate avanti (cioè noi), indirizzando il suo malcontento in un distinto "vaffa" alla "casta". Quella "casta" che peraltro continua a sedere in Parlamento assieme a Berlusconi, Scilipoti e gli altri. Quella politica "ladrona" che viene premiata (vedi elezioni in Lombardia).
Non è stato premiato (anzi, è stato severamente punito) il nostro coinvolgimento nelle lotte, cisì come non regge più l'asse fondamentale che ha guidato per oltre 20 anni la collocazione politica di Rifondazione Comunista, ossia il rapporto "dialettico" con il centrosinistra: né interni (e subalterni), né antagonisti ad esso. Quando è possibile si fanno alleanze, se non è possibile no. E' una collocazione che un tempo ha pagato dal punto di vista del consenso, ora non paga più. E visti i risultati di PCL e SEL, pare che paghi poco anche l'opposizione frontale al centrosinistra e che paghi poco (ma indubbiamente paga un po' di più, anche in termini di presenza parlamentare, che non è cosa di poco conto) anche l'internità ad esso.
Dunque le lotte non pagano più, come non paga più un rapporto col centrosinistra che sta "al merito" delle questioni, che non sta "dentro" o "fuori" a prescindere.
Un cambio di paradigma, come dice il titolo di questo post. Perché temo che quello che possiamo immaginarci e mettere in campo per il futuro sia fondamentalmente inutile. Rilanciare il partito. E come? il partito lo rilanci se hai consenso, sennò con chi lo rilanci? Stare ancora più nelle lotte. Chi, fisicamente? non siamo moltissimi, credo che in questi cinque anni ci si sia spesi senza riserve. Non è che si possono "spremere" i compagni. Spieghiamo meglio le nostre lotte. Mi sorge il dubbio che delle nostre lotte non gliene freghi nulla a nessuno. Accentuare il nostro profilo di opposizione anche al centrosinistra. Mi pare che lo 0,3% del PCL non ci dia indicazioni confortanti in tal senso. Prendere atto che fuori dal centrosinistra non c'è spazio. Beh, anche il consenso di SEL, dal 7% dei sondaggi di qualche mese fa, pare sia in caduta libera. Recuperare il voto grillino "di sinistra", che ha dato un voto di protesta ma che politicamente ci è affine. Per qualche anno sarà impossibile. Grillo e il suo elettorato sono in piena "luna di miele", non basta a scalfire le convinzioni dei "grillini antropologicamente di sinistra" il fatto che Grillo civetti con Casapound, che dica che lo stato strangola e la mafia no, che il sindaco grillino di Parma si rimangi le promesse fatte sul blocco dell'inceneritore. Non basta il fatto che Grillo vuole prendere i soldi per finanziare il reddito di cittadinanza dagli stipendi dei dipendenti pubblici e dalle pensioni (non dai grandi patrimoni... mica è scemo!), non basta il fatto che abbia una gestione padronale del Movimento 5 Stelle che fa apparire Berlusconi un "ragazzo", non basta il fatto che sia contrario alla cittadinanza ai bambini degli immigrati e che anzi girino video dove Grillo "insegna" ai carabinieri come devono fare a picchiare i marocchini. Non basta il fatto che Grillo voglia abolire i sindacati. Chiedi conto all'ex elettore di sinistra ora grillino di tutto ciò e vedrai che ti trova la spiegazione, per dirti che "è stato frainteso", che "sono frasi ad effetto". Incalzalo sulla gravità di queste affermazioni, incalzalo sulla contraddittorietà del programma di Grillo, sul fatto che i suoi deputati e senatori vogliono ridurre il numero dei parlamentari e poi non sanno quanti sono, e alla fine ti dirà: "peggio di quelli che ci sono stati finora non possono fare". E' inutile, posso garantire, spiegare che sì, si può fare anche peggio. Che pure agli inizi degli anni '20 il "popolo" fu abbacinato dalla retorica del fascismo diciannovista. Leggetevi il "programma di San Sepolcro": è pieno di spunti interessanti e progressivi. Peccato che nei successivi venti anni il governo di Mussolini si è ben guardato di metterli in pratica.
Insomma. Non è che non ci abbiano capito. Ci hanno capito benissimo. Il fatto è che noi offriamo un "prodotto" che non interessa più, che non ha più mercato. O cambiamo "prodotto" o chiudiamo. Ma siccome non è che noi vendiamo dentifrici o penne a sfera, ma proponiamo una lettura e una prospettiva della società, cambiare "prodotto" significa non essere più "noi", essere qualcos'altro. Qualcos'altro che forse non ci va (almeno a me non va) di essere.

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