martedì 20 marzo 2012

Sia fatta la volontà della BCE

Se c'è una cosa bella di questo governo di tecnici è il loro dire "pane al pane e vino al vino", senza formule "politichesi". Prendete il sottosegretario Polillo stasera a Ballarò: "non ci dimentichiamo che la BCE ci ha mandato una lettera con delle richieste, che noi stiamo mettendo in pratica". Chiaro, no? La BCE, una banca, quindi non un ente elettivo, magari anche con un sistema elettorale capestro tipo il porcellum, una banca, non il Parlamento europeo o, al limite, la Commissione europea; una banca, quindi un ente a-democratico e che risponde solo alle logiche economiche. E il governo si pregia di esserne il fedele servitore. E il Parlamento deve accettare la sua impotenza in questa fase. Oggi, per la dodicesima volta il governo Monti ha posto la fiducia. O mangiare la minestra o saltare la finestra.

Roba da far rizzare i capelli a chi volesse ancora definirsi "democratico". Non nel senso di elettore del PD, parlo di democrazia sostanziale. Invece l'austero membro del governo dei professori ha esposto la sua teoria sulla "legittimazione" del governo (che è prettamente "finanziaria") senza che nessuno, neanche Rosy Bindi, battesse ciglio.
Intanto si va alla riforma del mercato del lavoro senza il consenso della più grande centrale sindacale italiana, la CGIL, con i suoi cinque milioni di iscritti. E del resto chi se ne frega del fatto che 5 milioni di iscritti sappresentino oltre il 10% degli italiani maggiorenni. Lo si diceva in premessa, non si risponde a enti elettivi, ma a una banca, i cui capi sono molti meno di 5 milioni di iscritti alla CGIL, ma contano infinitamente di più. Perché i voti conteranno pure, ma le risorse decidono. Lo disse già nel 1975 un politologo norvegese che si chiamava Stein Rokkan.
E si presenta questa ignobile contro-riforma come la panacea di tutti i mali: "vedrete", si dice, "che si schiuderanno le porte del mondo del lavoro ai giovani, quindi si ricomincerà a spendere e a far girare denaro. Quindi si investirà di più". Del resto le norme sulla flessibilità in uscita che si propongono sono quelle della Germania. Già, peccato che non si propongono esattamente le stesse tutele sociali della Germania. Peccato che gli stipendi tedeschi siano il doppio di quelli italiani. E peccato che i premi di produzione che ogni tanto le aziende tedesche riconoscono ai propri dipendenti (roba da 9000 euro) non siano esattamente uguali a quelli cui possono aspirare gli sfigati lavoratori italiani. E peccato che in una situazione dove la crisi ha fatto uscire, peraltro senza grosse rigidità, qualche milione di lavoratori dai processi produttivi, magari lavoratori che subito dopo hanno visto allontanarsi di anni la pensione, forse si potevano pensare prima interventi per creare occupazione, piuttosto che regole per cacciare meglio quelli che ancora hanno il lavoro. Prima delle regole del mercato del lavoro, pensino a crearlo il lavoro e poi, da buoni liberisti quali si vantano di essere, lascino alla "mano invisibile" il compito di regolare i rapporti fra datori di lavoro e lavoratori e non si mettano ad aiutare i primi a scapito dei secondi, che non ce n'è davvero bisogno.
Certo, se non vivessimo in Italia e se di tutto questo non ne andasse della vita di milioni di lavoratori, la fase potrebbe sembrare anche interessante e piena di incognite: reggerà la Cgil in una situazione del genere? che farà il PD in Parlamento? quali scenari politici si apriranno? Credo che da questo punto di vista il risultato delle prossime amministrative di maggio avrà un significato particolare. Andrà analizzato bene, perché potrà darci indicazioni importanti.

Nessun commento:

Posta un commento