lunedì 13 dicembre 2010

La normalità dello schifo

Qualche giorno fa ho incontrato, in veste di assessore al lavoro, le dipendenti di una azienda ormai chiusa. Una situazione complicatissima e ingarbugliatissima, che stiamo cercando di dipanare. Dopo l'incontro una dipendente, che conosco meglio delle altre, mi ha inviato una mail dove, dispiaciuta, mi ha confessato che alcune di loro erano arrabbiate anche un po' con me (nonostante l'incontro, a parte la naturale drammaticità del caso, fosse in realtà filato via abbastanza liscio e senza polemiche). In modo quasi pregiudiziale, quasi "a prescindere". Erano arrabbiate con me, mi pare di aver capito e spero di non essere eccessivamente auto-assolutorio, non per quello che ho fatto o non fatto, ma perché in quel momento rappresentavo la "politica", le "istituzioni". Scopro l'acqua calda se dico che da tanto tempo si è rotto il legame di fiducia fra cittadini da una parte e politica e istituzioni dall'altra. Certo, nel nostro paese c'è un germe carsico (ma non troppo) di qualunquismo, che periodicamente riaffiora; siamo il paese che ha visto nascere il movimento, chiamato appunto, l'Uomo Qualunque, siamo il paese dei mille comitati contro le antenne dei cellulari ma tutti ci arrabbiamo quando non riusciamo a navigare a 20 mega al secondo con il telefonino o quando ci sono solo "due tacche" di linea. Siamo il paese dell'egoismo della Lega che non perdona una Roma ladrona nella quale la medesima Lega si è accomodata più che bene acquisendone immantinente usi e costumi. Siamo il paese di Beppe Grillo che manda aff... tutto e tutti come se il solo mandare aff... desse una risposta ai problemi veri delle persone che vivono in questo Paese.
Eppure oggettivamente qualche ragione a questo scollamento fra cittadini e politica c'é. Non possiamo dire come diceva Guzzanti (Corrado): "se il popolo non si sente più rapresentato dalla politica, il popolo deve dimettersi". Perché siamo anche il Paese dove per entrare a lavorare in una azienda partecipata come precario (salvo stabilizzazione facile) basta avere la raccomandazione giusta, che nesssuno disdegnerebbe. Oggi scopriamo gli altarini di Alemanno (e forse anche quelli di qualche suo illustre predecessore) e in qualche modo "fingiamo" di scandalizzarci. Come in qualche modo "fingemmo" di scandalizzarci quando scoppiò tangentopoli e "scoprimmo" il malcostume degli appalti facili, delle tangenti... come se non lo avessimo saputo: bastava leggere il Vernacoliere o un qualsiasi giornale satirico dell'epoca. Oppure bastava non volerlo non sapere.
Eppure credo che in questi giorni si sia operato un salto di qualità: Non so se domani il governo Berlusconi otterrà la fiducia in entrambe le camere, in ogni caso sarà un risultato al fotofinish, per uno o due voti, in ogni casoo dovremo stare attaccati alle intenzioni delle "colombe di FLI", o di personaggi del calibro di Guzzanti (Paolo), Calearo, Scilipoti, o il redivivo Giorgio La Malfa. In ogni caso l'Italia senza Berlusconi, se senza Berlusconi sarà, sarà magari un Italia con Montezemolo, sotto il segno neppure della Marcegaglia, ma proprio di Marchionne. Certo non vivremo in una Italia spostata a sinistra. Ma non è questo il salto di qualità. il salto di qualità è il fatto che da settimana si parla apertamente di compravendita di parlamentari (gente, lo ricordo senza intenzioni demagogiche, che prende 20mila euro il mese), da giorni si parla del fatto che Berlusconi potrà farsi indietro solo se gli viene garantito un posto da ministro nela prossima compagine per mantenere la possibilità del legittimo impedimento. Si parla apertamente di corruzione come se fosse normale, di gente che non può lasciare un incarico pubblico di primo piano per non rischiare di rimanere invischiato in disdicevoli vicende giudiziaria. E lo si fa in senso "neutro", come se, appunto, fosse normale.
Come si fa quindi, a pretendere che ci si fidi della politica e di chi fa politica, se si è permesso a questa gente di infangare quella che dovrebbe essere una delle più nobili attività umane, quella, appunto, di servire la propria comunità, il proprio paese, i propri gruppi sociali di riferimento in base ai propri ideali e e alle proprie convinzioni?
Berlinguer ha insegnato ai comunisti (almeno a coloro che hanno voluto imparare), il valore della propria "diversità", politica e morale. Ha denunciato che la strada del craxismo allora nascente (erano i primi anni ottanta) era una minaccia per la democrazia italiana, e che il PCI avrebbe dovuto essere la "riserva morale" del Paese, che avrebbe dovuto bloccare questa deriva. Forse proprio perché molti comunisti dell'epoca diversi non lo erano affatto, pochi anni dopo la sua morte, il PCI venne sciolto. Berlinguer aveva indubbiamente sopravvalutato la capacità del suo partito (inteso come apparato) di non omologarsi al sistema. Ma aveva ragione sulla prima questione, come oggi vediamo. Perché dal craxismo, dal tangentismo, si è passati all'anestesia della riprovazione totale che dovrebbe provocare la situazione politica attuale. Credo che mai come oggi questa lezione andrebbe ripresa da parte di chi ancora si definisce comunista o comunque di sinistra. Perché questa lezione altro non è che la riproposizione in chiave più moderna del monito gramsciano: "Voi fascisti porterete l'Italia alla rovina e a noi comunisti toccherà salvarla!".

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