domenica 26 febbraio 2012

Fermi tutti. Si torna indietro.

 Ho l'impressione che si stia vivendo la fase "di ritorno" rispetto a quella degli anni 50-60, e non si tratta di un semplice "riflusso culturale" (quello lo abbiamo vissuto negli anni '80, quando l'insostenibile Roberto D'Agostino sproloquiava dei "perduranti guasti del '68), ma di una vera e propria fase storica che si chiude e di un'altra che si apre. Mi spiego meglio: negli anni '50-'60 la crescita economica, più o meno come quella attuale della Cina, permetteva a chiunque o quasi di poter elevare in modo impensabile il proprio tenore di vita :comprarsi la casa, far studiare i figli, di elevare il proprio tenore di vita materiale e culturale.
E' grazie all'onda lunga di quelle dinamiche se anni dopo il nipote di un ortolano analfabeta e di un operaio tessile con la III elementare può prendersi pure una laurea (nel caso sono io, ma è solo un esempio fra i tanti; come diceva la canzone di Pietrangeli: "anche l'operaio vuole il figlio dottore"). Oggi mi pare che si stia vivendo il percorso inverso, a causa del quale, magari il nipote di quel nipote di prima, tornerà, fra 30 o 40 anni, a vivere in miseria e senza prospettiva di miglioramento sociale nemmeno nell'arco delle generazioni future. Così come i nonni e bisnonni di quell'ortolano e di quell'operaio di cui sopra potevano sperare di migliorare la propria condizione o quella dei propri figli e nipoti. Magari sono catastrofista, ma ho l'impressione che della trasformazione sociale che la crisi economica sta comportando ne avremo piena contezza solo fra molti anni. Ma i segnali sono chiari. Pensiamo al ruolo che la crisi torna ad assegnare alla donna: dopo anni di lotte per l'emancipazione, dopo che la donna ha acquisito il diritto ad un posto nella società (quasi) pari a quello dell'uomo, ecco che la crisi (che infatti ha colpito molto le donne) ae rispedisce in casa a fare la casalinga. E non è cosa da poco, perché, come è ovvio per noi comunisti, la possibilità dell'autonomia economica della donna incide pesantemente sulla definizione del ruolo della donna nella società. Oppure pensiamo alla disgustosa irrisione di membri del governo nei confronti di chi subisce la crisi economica... si parla di "sfigati" che vogliono il posto fisso "monotono" vicino a "mamma e papà". Non posso descrivere la rabbia che, come comunista medio, provo verso questi atteggiamenti irridenti e paternalistici. Ma al di là della mia rabbia è chiaro che da una parte, dopo decenni di lotte per la conquista innanzitutto della dignità dei lavoratori, si torna alla concezione del "sei povero? è colpa tua" oppure "aspiri alla giustizia sociale? sei solo invidioso di chi è ricco, quindi più furbo e intelligente di te"; dall'altra si prefigura un modello sociale spaventoso: precari a vita costretti ad emigrare per continuare a fare altrove i precari a vita. Come se l'ambizione a vivere nel luogo dove si vuole (vicino a mamma e papà o no), come se l'ambizione ad una stabilità esistenziale (poter prendere un mutuo per la casa, poter mettere su famiglia...) fossero pretese assurde. Forse lo sono per noi comuni mortali, certamente non per chi (e mi si perdoni la caduta di stile un po' qualunquista) ha una cattedra universitaria, guardacaso nell'ateneo dove insegnano pure mamma e papà... o per chi ha un "noiosissimo" posto fisso di senatore a vita... o per chiunque che, grazie alla precarietà nella quale dovranno vivere i nostri figli, potrà permettersi una vita piena di lussi. Perché si sa: se è vero che sei povero è colpa tua, pure vero è che se sei ricco è merito tuo, quindi degno di ammirazione. E nessuno ha il diritto di mettere in discussione la tua ricchezza in base a concetti risibili e desueti come "uguaglianza", "dignità del lavoro" e altre facezie del genere...

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