martedì 9 novembre 2010

La Federazione della Sinistra a Pistoia: l'unità e la radicalità




Da mesi a Pistoia siamo impegnati nella costruzione della Federazione della Sinistra: militanti dei soggetti costituenti, ma anche semplici cittadini, lavoratori, studenti non iscritti a nessun partito.

Crediamo nell'idea di un soggetto politico plurale della sinistra di alternativa, che non cancelli le identità, le esperienze e l'autonomia dei percorsi che lo compongono, pur auspicando l'avvio di processi aggregativi che pongano fine alla vera e propria "diaspora" subita negli ultimi venti anni dalla sinistra comunista e anticapitalista.

Crediamo nella necessità che tale soggetto si doti di un profilo politico autonomo dal blocco del centrosinistra riformista, impegnandosi nell'elaborazione di un'idea di società che offra un'alternativa al fallimento dei modelli economici e sociali del capitalismo.

Pensiamo che su queste basi la FdS debba costruire un consenso solido, durevole, dandosi un progetto politico lungimirante e coraggioso che non si esaurisca e non si giudichi nei tempi effimeri di una consultazione elettorale ma misuri la sua incisività nell'orizzonte complessivo del percorso verso una società socialista del XXI secolo.

Ci rivolgiamo a tutte le donne e gli uomini della sinistra, nessuno escluso, auspicando che la Federazione possa crescere ed allargarsi fino a diventare il luogo di incontro di tutte le culture politiche critiche e di alternativa al sistema, per dare forza alle ragioni del mondo del lavoro, che vive oggi un attacco senza precedenti alle proprie conquiste, della scuola, ridotta a scomodo orpello per una società di ignoranti ultra-flessibili, di tutte le categorie sociali schiacciate da un modello repressivo e intollerante.

Per questi motivi avremmo preferito un congresso vero, con un regolamento che desse più peso e poteri a organismi della Federazione eletti democraticamente con il principio di "una testa un voto": ha prevalso la prudenza, la paura, forse il timore di elezioni imminenti, fatto sta che oggi nasce una Federazione a sovranità limitata, ferma alla logica delle quote tra soggetti promotori.

Noi pensiamo che questo processo di federazione, certamente da solo non sufficiente, sia un processo irreversibile, da condurre fino in fondo. A partire dai territori: dai militanti, dalle piccole sedi, dalle realtà dei comuni e dei quartieri. Per queste ragioni vogliamo che il nostro il nostro congresso parli anche al nostro territorio, offra un punto di vista sulla nostra realtà e provi a dare alcune risposte ai problemi dei cittadini.


La crisi di una realtà in declino

La crisi economica che sta colpendo duramente tutto il mondo, si è abbattuta anche qui, in un territorio colpito, ormai da diversi anni, da un declino strutturale del proprio sistema economico e produttivo. Ogni area della provincia soffre di carenze e difficoltà che si trascinano da tempo e che le classi dirigenti locali (imprenditoriali, politiche ecc.) non sono state in grado di risolvere nell'ottica del bene comune e dello sviluppo collettivo. Soprattutto, non sono state toccate le posizioni di rendita dei soggetti forti del sistema economico pistoiese, gli unici che hanno interesse a non modificare lo status quo, anche se l'arretratezza e la stagnazione sono i prezzi da pagare.

L'economia produttiva è frammentata in piccole e piccolissime imprese, spesso artigianali o a conduzione familiare, dove la ricerca e l'innovazione è una chimera, le economie di scala impossibili e in cui i lavoratori non hanno alcuna connessione con il sindacato e nessuna idea di collaborazione e aiuto con i colleghi del capannone accanto. Questo nanismo dell'impresa, associato ad una totale incapacità delle istituzioni di “fare sistema” e sopperire attraverso la cooperazione alle deficienze generali, rendono la nostra provincia una delle meno capaci di sviluppo in Toscana e oramai la ricchezza prodotta sul territorio si assottiglia fino a farci scalare verso il basso tutte le classifiche degli istituti di ricerca.

Gran parte del territorio è occupato dalle attività del vivaismo, un settore senz'altro importante ma assolutamente sopravvalutato dalla politica, che da sempre offre a questo mondo infinitamente di più di ciò che esso rende alla collettività, sia in termini di ricchezza prodotta e redistribuita nell'indotto, che di occupazione creata, senza parlare delle numerose e gravi esternalità negative che il vivaismo intensivo produce: ultra-sfruttamento delle risorse idriche, impermeabilizzazione estesa del suolo nell'ambito della produzione di vasetteria, inquinamento delle falde e incidenza sulla salute delle persone. Manca del tutto una visione strategica, un progetto, una capacità di pianificazione dell'economia locale che sia in grado, se necessario, di rompere i vecchi schemi, le vecchie gerarchie e le strutture di potere consolidate.

L'unica industria di notevoli dimensioni sul territorio è Ansaldo-Breda. Essa è ancora il bacino occupazionale maggiore delle nostre realtà e continua a giocare un ruolo centrale nelle vicende economiche pistoiesi, anche in considerazione del robusto indotto di piccole aziende che le ruotano attorno. Ciclicamente si ripresenta l'incertezza sul ruolo e sulla permanenza di questa insediamento industriale tradizionale, rafforzata non solo dalle incertezze del mercato e delle commesse, non solo dalle difficoltà e incapacità gestionali del management, che tenta poi maldestramente di far ricadere sulle maestranze le colpe di ciò che non funziona, ma anche e soprattutto dalla poca chiarezza con cui l'azienda affronta il tema della funzione strategica dello stabilimento. Questo nodo produttivo è assolutamente essenziale per la nostra economia, con un peso relativo enorme nell'assetto locale, testimoniato anche dal corso di laurea di ingegneria dei trasporti, che rischia di diventare uno specchietto per le allodole in attesa di conoscere le sorti di Ansaldo-Breda a Pistoia.

La montagna pistoiese sconta le difficoltà tipiche della propria orografia, che rende più difficoltosi collegamenti, attività, servizi ai cittadini. Quello che però è successo negli ultimi decenni ha qualcosa di più particolare. Questo territorio soffre di grandi problemi. Importanti presìdi industriali e produttivi sono stati, de facto, dismessi completamente, azzerando la spina dorsale economica di un intero territorio. Calo dell'occupazione, spopolamento, abbandono di molte aree, incuria e dismissione di collegamenti e servizi: questa tendenza può e deve essere invertita, se non altro mantenendo e valorizzando infrastrutture stradali e ferroviarie che per decenni, in alcuni casi secoli, hanno rappresentato un ponte tra la Toscana e il nord del Paese.

Anche le aree dove per anni hanno funzionato con qualche successo politiche ispirate alla logica del distretto industriale, come la Piana orientale, patiscono oggi una violenta regressione economica che sarebbe sbagliato associare solo alla crisi odierna, ma affonda le radici in anni di apatia e conservatorismo dello di cose. Le attività produttive, soprattutto mobili e tessile, scontano già da tempo le difficoltà indotte dalla competizione liberista internazionale, che schiaccia interi settori produttivi e mette in crisi l'idea del “piccolo è bello”, portando a nudo i limiti di modelli produttivi assurti a totem in grado di rappresentare forme durevoli di sviluppo: occupazione, livelli retributivi e condizioni di lavoro precipitano in quei contesti da anni e la crisi mondiale è solo un'ulteriore, per molti letale, spallata.


La FdS pensa che non sia possibile superare le difficoltà strutturali e annose dei nostri territori se non vi è una forte assunzione di responsabilità della politica nell'imprimere un cambio di rotta, il che richiede prima di tutto lo scardinamento di poteri e interessi non sempre trasparenti e non sempre legittimi che da lungo tempo, anche grazie all'immobilismo della politica pistoiese, indirizzano parte consistente delle scelte e delle strategie per scopi che niente hanno a che vedere con il progresso sociale ed economico della collettività, il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, lo sviluppo di servizi pubblici di qualità ed equi. E' necessario anche fare appello alle realtà associative e civiche che rappresentano un patrimonio di reti e relazioni da rivitalizzare e risvegliare dal torpore e dall'appiattimento, per evitare che la coscienza civile e partecipativa tipica un tempo dei nostri territori si atrofizzi in un semplice veicolo di “conoscenze”, “amicizie”, “favori” e “scambi”.

Invertire la rotta significa mettere allo stesso tavolo quelle forze politiche della sinistra disposte a confrontarsi su un'altra idea di sviluppo dei nostri comuni e delle nostre attività produttive, che ribalti la logica delle privatizzazione e della gestione manageriale dei servizi pubblici e della svendita ai mercati di pezzi fondamentali di economia sociale; che metta al centro il valore sociale dell'impresa e il ruolo strategico del lavoro e dei lavoratori; che faccia saltare il banco degli intrecci di potere clientelari e sotterranei che governano le dinamiche del territorio; che elabori una proposta forte e condivisa insieme alla parte sana dei cittadini che lavorano, che producono, che imparano, che vivono le problematiche di una realtà in declino.

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