lunedì 29 novembre 2010

Canton Varese, bundesland Padania e Quarto Reich...

Qualche mese fa un oscuro parlamentare svizzero di centro-destra chiamato Dominique Baettig, salì all'onore delle cronache in almeno quattro stati europei (Francia, Italia, Austria e Germania) per una proposta assai singolare: la Svizzera dovrebbe annettersi alcune zone confinanti: le nostre province di Bolzano, Como, Varese e Aosta, il Voralberg austriaco, il Giura, la Savoia e l'Alsazia francese, il Baden-Wuetternberg tedesco. Fa un po' ridere l'idea della pacifica e ricca svizzera che lascia per un attimo da parte la cura dei propri interessi e la propria secolare neutralità per muovere una guerra vincente a tutti i propri confinanti. Eppure i sondaggi effettuati nelle zone interessate hanno dato risultati sorprendenti: ovunque la maggioranza dei cittadini avrebbe accolto con favore una eventuale annessione alla Svizzera. Tanto che, alla fine Baettig, più che lanciare una provocazione sembra avere svelato un disagio profondo che caratterizza le regioni di frontiera vicine alla Svizzera. Disagio dovuto al centralismo dei governi nazionali, alle "ingerenze" della UE nell'economia dei singoli stati (le quote latte sono un buon esempio), alle "zavorre" che i territori annettendi ritengono di dover sopportare (il Mezzogiorno e la ex Germania Est in particolare). Disagi nei confronti dei quali il modello confederale svizzero sembra una risposta auspicabile. Auspicabile e improbabile, visto l'esito che avrebbe una guerra fra la svizzera e i suoi vicini e considerato il fatto che forse non converrebbe neppure alla Svizzera di mettersi in casa un grande "Mezzogiorno" (perché le benestanti Como e Varese, ma anche il Baden-Wuetternberg, a confronto con i ricchi cantoni elvetici diventerebbero "aree depresse", da "gabbie salariali!) che avrebbe il doppio dei suoi abitanti attuali... il giorno dopo comincerebbero le spinte indipendentistiche della Svizzera storica, soffocata dal fardello costituito dai nuovi "cantoni".


Qualche giorno fa, invece, le dichiarazioni di Angela Merkel davanti alla Confindustria tedesca hanno prospettato uno scenario, ugualmente dirompente, ma che poggia su basi ben più concrete. Il governo tedesco, sotto la pressione dell'opinione pubblica (e dei sondaggi elettorali che danno il consenso della cancelliera in caduta libera e vedono persino il principale partito d'opposizione -la SPD- in fortissima crisi di consensi) non ha intenzione di sobbarcarsi le crisi degli altri: per avre una moneta unica si devono rispettare certi parametri. Altrimenti o la Germania esce dall'Euro o dall'Euro escono i paesi in default. La Frau di ferro si riferisce con tutta evidenza ai paesi "PIIGS" (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Lasciamo per un attimo da parte in non proprio trascurabile dettaglio che i salvataggi dei paesi in crisi sono pagati, più che dai tedeschi (che evidentemente, non essendo la Germania la Croce Rossa, hanno un qualche interesse a salvarli) dai cittadini dei paesi in default, che subiscono tagli alla spesa sociale, aumenti delle tasse (non quelle alle imprese per non "tarpare le ali" ad una eventuale ripresa, ovviamente...), contrazioni degli stipendi e licenziamenti dei dipendenti pubblici, lasciamo per un attimo da parte che chi "salva" davvero il proprio paese in default nonè generalmente chi ha sferrato l'assalto speculativo che ha causato il suddetto default... queste sono considerazioni da comunisti....

Quello che qui appare evidente è che la Merkel indica una Eurolandia molto ridotta rispettoa alle dimensioni attuali, una Eurolandia che comprenderebbe solo Francia, Austria, Benelux, Finlandia più qualche altro paese minore e, con un ruolo di traino, ovviamente la Germania. E l'Italia? Cosa succederebbe se la Germania indicasse gentilmente all'Italia la porta d'uscita dall'Euro? Probabilmente che si butterebbe benzina (vera) sul fuoco secessionista che fino ad ora è stato alimentato dalle ciarlatanate di Bossi e simili. Probabilmente che la sedicente Padania rivendicherebbe di avere le cate in regola per stare nell'Euro, a differenza del Meridione (che un tempo, guardacaso, si chiamava "Magna Grecia").
Fantapolitica, certo. Ma non dimentichiamo che la questione della moneta non è nuova nel secessionismo leghista: già nei primi anni novanta, nell'ambito del loro folklore, inventarono la moneta del nord (mi pare si chiamasse proprio "Lega"), mentre a metà degli anni novanta, prima dell'avvento dell'euro, qualche economista in camicia verde per primo parlò della possibilità di differenziare la valuta fra una Lira che circolasse al nord ed una Lira del Sud.

Solo uno sciocco può pensare che il secessionismo "padano" e più in generale il fenomeno del leghismo non possa essere derubricato né a "sentimento nazionale" del nord Italia, né a semplice razzismo, né ad aspirazione ad un ordinamento federale per l'Italia. Il leghismo risponde alle esigenze economico-produttive specifiche del Nord del paese e per questo si è affermato, non grazie al radicamento territoriale della lega, che semmai ne è effetto. In questa ottica il rischio che l'Italia si spezzi non per le buffonate di Pontida ma per motivi economici sostenuti (più o meno consapevolmente) dalla Germania appare un po' serio.

Certamente avremmo una mini-Europa dei ricchi, con la Germania capofila, la Francia relegata a ruolo di comprimario e tutti gli altri, Padania compresa, relegate al rando di "bundesland" della Grande Germania.  Insomma una Europa unita dal forte cemento della moneta e dell'economia ma che, più che al sogno europeista di Altiero Spinelli somiglierebbe più ad una sorta di Quarto reich, con precedenti storici non proprio esaltanti.

Certo, nessuno si può avventurare in previsioni, talmente tanti sono i fattori in gioco, talmente tante le variabili, i fatti imprevisti. E soprattutto la questione che la Germania ha tutto l'interesse a salvare oggi l'Irlanda come ieri la Grecia, come del tresto ha tutto l'interesse a salvare l'Euro per tutti e non solo per sé o per il "club dei ricchi". Prima di tutto perché i problemi dell'Europa, deprezzando l'Euro rispetto al Dollaro danno impulso all'export tedesco (che già è il secondo del mondo dopo quello cinese), anche fuori dall'Eurozona; altrimenti un Euro forte, come sarebbe quello della mini Eurolandia (o del Quarto Reich, se si preferisce..) contornato dal ritorno alle monete nazionale dei PIIGS (o meglio: dei PIGS più la "Magna Grecia"), monete che subirebbero immediatamente una pesante svalutazione (competitiva o no), darebbe invece fiato all'export di questi paesi. Non a caso, forse, fino ad oggi, l'unico a minacciare seriamente l'uscita dall'Euro è stato il ministro degli esteri prtoghese, Luis Amado, che ha prospettato un tale scenario "per riguadagnare le condizioni di stabilita' e fiducia dei mercati".

Non credo che Angela Merkel non abbia chiare queste semplici questioni. Probabilmente, quando leva il suo ruggito per far uscire gli altri dall'Euro o per prospettare il ritorno al vecchio indimenticato Marco tedesco, fa più propaganda che altro: parla alla pancia del paese, stanco di salvare la ex-Germania Est prima, i partner deboli d'Europa ora. Soffia sul fuoco di un egoismo che vagheggia, nella versione della Grande Svizzera o in quella della Grande Germania, una unione dei paesi ricchi, un fortino assediato nel quale ci si illude di difendersi dagli effetti dirompenti delle crisi finanziarie che ormai si ripetono in sequenza.

Questo, onestamente, mi pare il dato politico più allarmante.

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