venerdì 25 marzo 2011

La guerra è una cosa seria

So già che i pochi che leggeranno questo post mi troveranno ancora più antipatico del solito. Ma ho bisogno di togliermi un sassolino dalla scarpa. Detesto il modo in cui si parla della guerra alla Libia. Pare che si stia parlando di una partita di calcio. Dovrebbero essere chiare due cose. Primo: essere contro la guerra non vuol dire essere a favore di Gheddafi. Allo stesso modo se si ritiene che Gheddafi sia un pazzo sanguinario non necessariamente si deve ritenere che gli americani fanno bene a bombardare la Libia. Se si gioca il derby della Madonnina è chiaro che se spero che perda il Milan vuol dire che spero che vinca l'Inter.
Ma la politica (e la guerra, che per qualcuno, già un paio di secoli fa, ne era la prosecuzione con altri mezzi) sono un po' più complicate di una partita di calcio. Specialmente la politica estera, che prevede un numero di fattori molto elevato e disposti in un ordine assai complesso. In una partita di calcio le regole sono inoltre molto più chiare: le norme sono codificate in senso univoco, c'è un arbitro imparziale (capace di decisioni cogenti) a giudicare le scorrettezze, c'è una durata prestabilita del gioco eccetera. Tutto questo non c'è nella guerra, anzi: è ormai invalso l'uso di non chiamarla più neppure col suo nome, "guerra" appunto. Si chiama operazione antiterrorismo, di polizia internazionale, intervento umanitario, addirittura "missione di pace". Per due motivi, secondo me. Il primo, più ovvio, per non turbare le coscienze un po' ipocrite di quell'opinione pubblica che, da un punto di vista puramente etico, avrebbe problemi ad accettare una guerra così brutalmente definita ma che trova accettabile una cosa che è esattamente una guerra ma che si chiama diversamente. Il secondo, più subdolo, è che, per quanto aleatorie, una guerra ha comunque delle regole del gioco. Se combatti su un piano di parità, almeno formale, anche se non di rapporti di forza (cioè: stato contro stato), hai delle convenzioni da rispettare. Ed i prigionieri di guerra, militari di un altro stato, li devi trattare in un certo modo. Se formalmente non sei in guerra ma porti a termine una missione di pace e di polizia internazionale contro uno stato canaglia e terrorista i prigionieri non sono prigionieri di guerra e ne puoi fare quello che vuoi. Tipo per esempio portarli a Guantanamo e torturarli a morte. Insomma è un po' come se una partita di calcio, per poter prendere a pugni gli avversari impunemente, venisse chiamata "incontro di boxe". Tralasciando ovviamente il fatto che nel caso di una guerra i "gol" di una squadra o dell'altra portano morte, lutto e distruzione.

Secondo: siccome appunto la politica estera è materia molto complicata, non si può ragionare usando una logica eccessivamente elementare. Ad esempio l'equazione: "mi sta antipatico Berlusconi, Gheddafi è amico di Berlusconi, quindi Gheddafi mi sta antipatico e gli americani fanno bene quindi a bombardare la Libia". Qui si entra nel campo psicanalitico, questo è un caso di transfert: si vede la guerra a Gheddafi come se fosse fatta a Berlusconi. Con il vantaggio che sotto le bombe ci sono i libici e non noi. E con lo svantaggio (accettabile, visto il vantaggio di prima) che a farne le spese sarà Gheddafi e non Berlusconi.

Eppure, relativamente a questa guerra molti compagni ragionano in questo modo, accecati da un antiberlusconismo di pancia e privo di contenuti. Siccome la guerra contro la Yugoslavia è stata fatta dal Governo D'Alema e quella contro l'Irak era contro un dittatore che non era amico di Berlusconi, in passato non era andata così. Non ci si rende conto, mi pare, che arrivare ad accettare una guerra contro uno stato che ha il torto di essere guidato da un dittatore amico di Berlusconi costringerà in futuro a dover accettare tutti gli interventi cosiddetti "umanitari" (in realtà, c'è bisogno di dirlo?, funzionali alla difesa degli interessi degli Stati Uniti) contro qualsiasi altro paese, guidato da un dittatore o meno. Il motivo per scatenare una guerra contro qualcuno che, per i motivi più disparati, si mette di traverso si troverà sempre (a scuola, nell'ora di storia, ci insegnavano che una guerra ha sempre dei motivi economici e geostrategici. Poi c'è il "pretesto", che è quello che tutti credono essere il vero motivo ma che non lo è: la I guerra mondiale, si dice, scoppiò perché fu assassinato l'arciduca d'Austria a Sarajevo). E quando si dirà che siamo contro alla guerra ci risponderanno: e perché la guerra contro Gheddafi sì e questa no? Solo perché Gheddafi era amico di Berlusconi? Una volta accettata una guerra si accettano tutte. Se si accetta una volta il ruolo di gendarme del mondo degli Usa e della Nato, non si hanno più argomenti per non accettarlo nella guerra (pardon... "missione umanitaria") successiva. Chi giustificò la guerra alla Yugoslavia (magari proprio perché fatta da un governo di centro-sinistra) ebbe non poche difficoltà a giustificare la propria contrarietà alla gerra all'Irak (governo Berlusconi) di pochi anni dopo, dovendo escogitare mille distinguo fra i due conflitti. Non a caso nacque lo slogan "No alla guerra senza 'se' e senza 'ma'". Uno slogan nel quale mi riconosco ancora pienamente.




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