martedì 5 aprile 2011

"Numeri utili" su salari, risparmio privato e inflazione

Qualche giorno fa l'Istat ha comunicato l'impennata inflattiva del mese di marzo: siamo al 2,5% su base annua, la più alta dal 2008. Incidono particolarmente i prezzi dei carburanti (benzina + 12,7%; gasolio +18,5%, legati agli attacchi speculativi seguiti alla guerra di Libia), ma anche quelli dei settori collegati in qualche modo al costo dei combustibili: trasporti (+5,5%), casa ed utenze (4,4%).
Continua così l'erosione del potere d'acquisto dei salari che già in Italia sono fra i più bassi d'Europa: 20.400 euro netti annui di media, contro una media UE-27 di 21.800, contro i 31.800 del Regno Unito, i 28.000 della Germania, i 26.600 della Francia. Salari che peraltro sono in caduta libera come valore reale. Una caduta generale, che riguarda tutto il mondo, ma la nostra è molto più veloce di quella degli altri paesi: se si pone 100 il valore reale dei salari italiani del 1980, nel 2010 siamo a 88. La Francia è a 93, il Giappone quasi a 96. Non solo: i salari italiani hanno una incidenza sul Pil bassissima rispetto a quella di altri paesei: solo il 41%, contro il 49% della Germania, il 51% della Francia ed il 55% degli USA.
Possiamo aggiungere il fatto che, secondo Confcommercio, negli ultimi 20 anni il risparmio delle famiglie italiane è crollato del 60%. Nel 1990 su ogni 100 euro guadagnati se ne mettevano da parte 23, nel 2010 appena 10. Tradotto in termini di risparmio annuale, nel 1990 ogni famiglia risparmiava 4.000 euro (in termini reali), oggi si riesce a malapena ad arrivare a 1.700.
Non ci vuole un economista per capire come questo sia in relazione al fatto che la crisi economica nella quale il nostro Paese sta ancora annaspando (a differenza di altri: il FMI prevede una crescita del PIL nel 2011 in Italia dell'1,2% contro l'1,7% di Germania e l'1,8% della Francia) dipenda anche da queste cifre. Cioè il fatto che se i redditi dei lavoratori si riducono, si riducono i loro consumi e quindi la crescita economica sarà ridotta. Mi pare chiaro. E invece no. Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che il 53% dei lavoratori italiani lavora con CCNL scaduti (34 accordi in vigore contro 44 scaduti), come non si spiegherebbe il blocco fino al 2013 dei salari dei dipendenti pubblici. Misteri dell'economia!



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