lunedì 21 novembre 2011

Il mio intervento al congresso provinciale del PRC di Pistoia

Credo che si debba partire dal riconoscimento della discrasia fra crucialità della fase politica ed inadeguatezza dei comunisti nel nostro paese. In un momento in cui l'esplosione della speculazione finanziaria prefigura quello che abbiamo chiamato il "colpo di stato monetarista e neoliberista", quel neoliberismo e quel monetarismo dei quali l'Unione Europea, basata sulla moneta e sui vincoli di Maastricht e non solo, rappresenta la punta avanzata nel mondo; in un momento in cui l'assetto del capitalismo pone di fatto l'antagonismo fra economia e democrazia, come ci insegnano la vicenda greca e italiana, dove si sono impediti ricorsi al voto popolare (referendario o elettorale) qualificandoli come inutili perdite di tempo; in un momento in cui si ripropone in modo drammatico l'alternativa "socialismo o barbarie", il movimento comunista italiano si trova nella fase di maggiore debolezza e frammentazione almeno dalla nascita della Repubblica ad oggi.

Non so se la prima cosa sia in qualche modo conseguenza della seconda, cioè se il cosiddetto "colpo di stato monetarista", ossia il commissariamento del nostro Paese da parte della BCE, sia stato possibile proprio in virtù del fatto che non esiste più una forte presenza comunista nel nostro paese. Certo è che a causa della nostra debolezza tale commissariamento non incontra opposizione sostanziale, anzi, avviene con il plauso delle masse felici della fine dell'era di Berlusconi. E questo perché già da molti anni il neoliberismo è senso comune. Ricordo quando, giovane universitario, a metà degli anni '90, mi trovai a discutere con un giovane militante dell'allora PDS che sosteneva che Prodi era il candidato giusto per il centrosinistra perché "piaceva ai mercati", che, si sa," votano ogni giorno". Allora mi arrabbiai perché ritenevo che un presidente del consiglio avrebbe dovuto piacere ai cittadini che, invece, votano ogni 5 anni, ma non percepivo a cosa avrebbe portato questa concezione della politica. Il risultato è che oggi i sacrifici che verranno imposti dalla BCE per il tramite del governo Monti sostenuto da praticamente tutto il Parlamento, vengono vissuti come una necessaria medicina amara. Nessuno è contento di doverla assumere, ma nessuno si oppone ad essa perché siamo certi che ci farà "guarire". Anche se quegli stessi mercati che "votano ogni giorno" in un primo momento hanno accolto abbastanza freddamente quello che viene osannato come il salvatore della patria. Per qualche giorno dopo la nomina di Monti lo spread è rimasto stabile oltre quota 500. Per un motivo semplicissimo: perché i "mercati" non si accontentavano di un banchiere a Palazzo Chigi. Volevano garanzie che la politica gli lasciasse mani libere. Come dire temevano che il Parlamento, eletto dai cittadini, lo intralciasse. Quando è stato chiaro che questo non sarebbe successo, lo spread è diminuito. Una concezione del potere che dovrebbe allarmare qualsiasi sincero democratico!

Il dogma "monetarista" assume quindi una veste di oggettività, si identifica tout-court con l'economia. Non è prevista nessuna alternativa. Nel pensiero unico non sono previsti punti di vista diversi. E questa concezione è molto diffusa, probabilmente anche fra qualche nostro elettore.

Ritengo che il quadro sia ulteriormente complicato dal berlusconismo e anche da un certo antiberlusconismo. Perché il berlusconismo ha fatto sì che qualsiasi alternativa a Silvio Berlusconi venisse vista come una liberazione. Un certo antiberlusconismo, quello che io chiamo "di maniera", privo di contenuti, complica anch'esso il quadro, perché si preoccupa di più della condotta morale di Berlusconi, di certi comportamenti "poco istituzionali" del capo del PDL, che, ad esempio, dei ripetuti attacchi ai diritti dei lavoratori e alla condizione sociale delle classi più deboli che ha portato durante i suoi governi. Quell'antiberlusconismo che vede la causa del disastro economico e sociale del paese nel bunga-bunga e non nelle politiche che il governo Berlusconi ha portato avanti. Quell'antiberlusconismo che non capisce che il governo Monti privilegierà in modo meno cialtronesco e con maggior decoro gli interessi dei medesimi gruppi sociali cui guardava Berlusconi. Una delle prime dichiarazioni di Monti dopo la fiducia alla Camera è stata "Dovremo prendere decisioni sgradevoli. Aumenterà la distanza con i sindacati". Una dichiarazione che è un programma di governo: le distanze aumenteranno con i sindacati, non, genericamente, con le parti sociali. Esattamente come avrebbe fatto Berlusconi Monti alzerà l'età pensionabile, abolirà, di fatto o di diritto, l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, taglierà la spesa sociale eccetera. Ma lo farà senza fare "cucù" a Angela Merkel e senza fare le corna nelle foto ufficiali. Il risultato di tutto ciò è che oggi la destra si sta appropriando della "questione democratica" conseguente alla nascita del governo Monti. Sentiamo quindi personaggi come Giuliano Ferrara tuonare contro l'esproprio della democrazia nel nostro paese, contro chi usa lo spread come un carro armato contro l'Italia. Insomma l'operazione Monti permetterà di "ripulirsi le mani" alla parte politica  che ha portato il paese a questo punto, ossia PDL e Lega, di rifarsi una verginità politica, nel mentre coinvolgerà il centro-sinistra a coprire misure impopolarissime.

Ritengo che la fase attuale assomigli molto al 1993. Anche allora vivevamo una difficile crisi economica e una altrettanto difficile crisi politica. Anche allora nel paese c'era una domanda di cambiamento dopo gli scandali di Tangentopoli. Anche allora la sinistra ottenne buoni risultati nei test amministrativi: ricordo Leoluca Orlando a Palermo, Antonio Bassolino a Napoli, Diego Novelli che arrivò al ballottaggio a Torino, i buoni risultati di candidati come Claudio Fava e Renato Nicolini. Anche nel 1993 ci fu una stagione referendaria, per quanto di segno politico diverso da quella del 2011, che fu vissuta da larghe fasce della popolazione come un "avviso di sfratto" alla classe politica dell'epoca. Anche allora ci si affidò ad un governo tecnico e anche allora fu scelto per guidare tale governo un banchiere, Carlo Azelio Ciampi. Tra l'altro il governo Ciampi fu preceduto da un governo Amato ed oggi il nome del "dottor sottile" è stato, guardacaso, uno dei "papabili" per la guida dell'esecutivo e che non è entrato nella compagine governativa solo a causa dei "veti incrociati" che hanno precluso un ministero anche a Gianni Letta. Anche nel '93 la sinistra era debole, per quanto molto meno di oggi: Rifondazione Comunista era in Parlamento ma muoveva i primi passi, i Verdi e la Rete di Orlando avevano un consenso minimo, l'allora PDS iniziava la rincorsa centrista (non a caso sostenne il governo Ciampi). Ebbene, da quella crisi ne uscimmo a destra, con Berlusconi. Se quindi una lezione possiamo trarre dagli avvenimenti del 1993 è che il pericolo quindi può non essere solo il governo Monti ma anche quello che succederà dopo.

Qual'è quindi, il nostro compito di comunisti, in questa fase così complicata e così difficile, per evitare che l'esito di questa crisi sia lo stesso che si verificò 18 anni fa?

Innanzitutto cercare di essere "meno inadeguati possibile", posto che temo che non saremo in grado di scontrarci vittoriosamente con i poteri forti per un bel po' di anni. Tornare ad essere visibili è vitale. E questo non può prescindere dal tornare in Parlamento. Per una questione di visibilità ed economica innanzitutto: non mi porrei il problema se il nostro partito non avesse parlamentari ma avesse i "numeri" del vecchio PCI in quanto a militanza, ad influenza nel mondo sindacale, associativo eccetera. La nostra proposta politica, la nostra alterità rispetto al pensiero unico hanno bisogno di visibilità e anche di risorse economiche per poter essere diffusa. Altrimenti la nostra sorte sarà quella di tanti più o meno piccoli partitini e gruppetti extraparlamentari, con la loro marginalità e autoreferenzialità. Da questo punto di vista, se è vero che il governo Monti renderà verginità politica alla destra di Berlusconi e della Lega, se quindi Berlusconi e il berlusconismo sono tutt'altro che usciti di scena, la proposta del "fronte democratico" contro le destre, che non preveda un nostro coinvolgimento in un futuro governo di centro-sinistra mi pare che dimostri ancora tutta la sua attualità.

Questo però non può che andare di pari passo con il ribadire la nostra internità al movimento antiliberista diffuso, alla FIOM e a tutti quei soggetti sindacali che si oppongono alla "dottrina Marchionne"al popolo dei referendum dello scorso giugno, al popolo del 15 ottobre, del "no alla TAV" eccetera. Perché senza il radicamento nelle lotte, quand'anche tornassimo in parlamento saremmo come piante senza radici, destinate quindi a morire subito.

Riuscire quindi a conciliare i due aspetti che, a ben vedere, fanno parte del nostro DNA e della nostra storia: porsi come sponda politica dei movimenti che si pongano come obiettivo l'uscita dalle contraddizioni del capitalismo (il che non vuol dire che tali movimenti abbiano chiaro che per uscire dalle contraddizioni del capitalismo è necessario uscire dal capitalismo; anzi spesso non si rendono neppure conto del legame che c'è fra ciò contro cui lottano ed il sistema capitalista), nella consapevolezza che tali movimenti, senza una sponda politica forte, visibile e con capacità di incidere nel dibattito politico non possono compiere avanzamenti sostanziali.

Recuperare questo ruolo è, a mio avviso, il compito che dobbiamo dare a Rifondazione comunista e il nostro contributo alla Federazione della Sinistra. Non sarà facile ma abbiamo il dovere di provarci.

Nessun commento:

Posta un commento