venerdì 26 agosto 2011

Mercato del lavoro e vecchi "medici" ideologizzati

Ci affideremmo, in caso di una malattia grave  ad un medico che ancora oggi seguisse la  ormai superata "regola sanitaria salernitana" (quella che prevedeva apprlicazione di sanguisughe, trapanamenti del cranio ecc.)? Ogni persona di buon senso risponderebbe, senza esitazione, in modo negativo. Eppure qualcosa di simile sta accadendo per quanto riguarda il mercato del lavoro in Italia.

Partendo dai dati negativi dell’occupazione nel nostro paese il governo Berlusconi ha pensato bene di intervenire in materia con la manovra estiva, ampliando la platea die soggetti autorizzati all’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro, cioè tutti quei servizi che vengono erogati ai disoccupati in cerca di lavoro e alle aziende in cerca di manodopera. Con la manovra estiva alle Università, ai Comuni, alle associazioni datoriali e sindacali, alle Camere di Commercio, ai patronati, alle Comunità montane e all’Ordine nazionale dei Consulenti del Lavoro, si aggiungono i gestori dei siti internet e le scuole secondarie di secondo grado. E fin qui non sarebbe granché. Più perniciosa l’abolizione di fatto del comma 6 dell’art. 6 del D.Lgs. che prevedeva che lo svolgimento delle suddette attività di intermediazione da parte di soggetti diversi dalle province (che hanno i servizi al lavoro come competenza propria) fosse subordinato al rilascio di autorizzazione da parte della regione o della provincia auronoma territorialmente competente, previo accertamento di particolari requisiti che chi intende prestare tali servizi deve avere (disponibilità di locali, competenze professionali, privacy ecc.). Insomma, se nell’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro potevano intervenire, oltre alle province, altri attori, pubblici o privati, c’era comunque un controllo sulle loro caratteristiche e sulle loro attività tramite il rilascio dell’accreditamento regionale che, ad oggi, è sopresso. Così, mentre i referendum dello scorso giugno sancivano la volontà popolare di sottrarre alle logiche privatistiche i beni pubblici (e il lavoro, al pari dell'acqua, dell'ambiente e della giustizia è un bene pubblico), il governo amplia e deregolamenta l'intervento di soggetti privati nel settore dei servizi al lavoro.
Il ragionamento che si fa è apparentemente di buon senso: visto che il collocamento pubblico e i collocatori privati (le Agenzie per il lavoro) insieme riescono a avviare al lavoro il 4% degli avviamenti totali e tutti gli altri seguono altri canali (passaparola, contatto diretto, bandi pubblici...) allora aumentiamo la platea degli intermediari , semplifichiamo gli adempimenti burocratici e così si moltiplicherano le occasioni per i lavoratori disoccupati. Ragionamento apparentemente di buon senso e in realtà ideologico e mistificatorio, nonché inefficace e vecchio come la cura che somministrerebbe un medico che seguisse ancora oggi la famosa regola sanitaria salernitana prima ricordata. Perchè i problemi che si trovano alla base di questo misero 4% rispondono ad almeno due ordini di motivi: il primo è che i Centri per l'impiego non si vedono riconosciuti, a quasi tre lustri dalla loro istituzione, un ruolo e competenze precise e mancano di risorse adeguate. Teniamo conto che la crisi ha aumentato a dismisura la platea degli utenti del CPI: non solo infatti sono aumentati i disoccupati, ma anche i lavoratori che devono seguire politiche attive del lavoro, come i cassintegrati in deroga che ormai da 3 anni aumentano ognio anno a ritmi di tre cifre percentuali. 
Il secondo, più importante motivo è relativo al fatto che il problema non è quello del numero dei soggetti che fanno l'intermediazione fra domanda e offerta di lavoro. Il punto è di quante aziende cercano manodopera e di quanti lavoratori cercano lavoro. E' il sistema economico che crea posti di lavoro, non gli intermediari (pubblici o privati). Il problema è di sviluppo economico, non di servizi al lavoro.
E in Italia, non dimentichiamolo mai, è mancato per otto mesi il ministro dello sviluppo economico proprio in una delle fasi più acute della crisi, dopo le note vicende immobiliari di Scajola. E in Italia, non dimentichiamo neppure questo, si propone di inserire in Costituzione l'obbigo del pareggio di bilancio, cosa che, negando la possibilità di spesa in deficit per inserire "risorse fresche" funzionali alla ripresa del sistema economico, comprimerà giocoforza la domanda, alimentando il circolo vizioso caduta della domanda-diminuzione della produzione-disoccupazione. Questo non è comunismo è semplice keynesismo. E lascia allibiti l'atteggiamento di buona parte del centro-sinistra che non guarda con sfavore a tale possibilità, proposta per la prima volta negli USA dagli ultraconservatori del Tea-party, la destra repubblicana.


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