lunedì 8 agosto 2011

Lavoratori milionari in lotta

Nel bel mezzo della tempesta economico-finanziaria che rischia di travolgere l'Italia, "troppo grande per essere salvata" (come ammonisce il settimanale tedesco "der Spiegel"), nel bel mezzo di una crisi che porta con sé la minaccia del default degli Usa, si registra un episodio, isolato, di lotta di classe nel nostro Paese. Un pugno di "eroici" lavoratori che minacciano sciopero ad oltranza se non ci sarà la firma del contratto. Anche per un anno intero. Era dai tempi dei minatori inglesi anti-Tatcher che non si vedeva tanta determianzione. Forse anche perché questi non sono lavoratori per così dire "normali". Hanno, diciamo, maggiori possibilità di campare per un po' senza stipendio rispetto ad un operaio qualsiasi.
Si tratta infatti dei "più amati dagli italiani": i calciatori di serie A. Gente da svariati milioni di euro l'anno. Qualche esempio (in milioni di euro l'anno di stipendio lordo): Eto'o: 10,5; Ibrahimovic 9; Pirlo 6; Buffon 6; Sneijder 5,5; Milito5; Totti 4,9; De Rossi 4,6; Julio Cesar 4,5; Nesta 4,5... questo solo per citare i calciatori impegnati nel campionato italiano compresi nella top 50 dei calciatori più pagati d'Europa. Fatti due conti il più ricco della lista in un anno riceve quasi 300 anni di stipendio lordo di un lavoratore più o meno medio. Secoli di stipendio di un lavoratore fortunato, perché se si fa il paragone con un cassintegrato il rapporto diventa ancora più vergognoso. Oppure 45 anni circa dello stipendio di un parlamentare. Circa 900mila euro al mese. Più di 200mila euro la settimana. 30mila euro il giorno. 1.200 euro l'ora, compreso quando dormono. In un ora uno stipendio mensile da operaio. Possiamo anche dire, se preferiamo, che in 3-4 giorni questi personaggi guadagnano l'importo medio di un mutuo per l'acquisto della casa. Quei mutui che per venti o trent'anni i lavoratori pagano in rate mensili da 600 o 800 euro. Che poi sono 30 o 40 minuti di stipendio di Eto'o.  Ebbene questi signori, adorati la domenica negli stadi da tanti lavoratori, hanno pure delle rivendicazioni da fare. E non è la prima volta che lo fanno. Nel 1982, solo per citare un caso lontano nel tempo, ero un bambino, ricordo che, dopo i mondiali di Spagna, ci fu una protesta simile da parte dei calciatori. Ricordo che uno dei campioni di Madrid (mi pare Paolo Rossi, ma non sono sicuro) ebbe a dichiarare: "dobbiamo pur dare da mangiare ai nostri figli!". Questa frase, assieme al massacro dello stadio Heysel qualche hanno dopo, mi trasformò da super tifoso juventino in agnostico calcistico. Quando, ancora qualche anno dopo, facendo due conti mi accorsi che per avere Vialli la Juventus aveva speso l'equivalente di 2000 anni dello stipendio di mio padre (operaio), cominciai a provare un certo fastidio per questo sport, almeno a certi livelli.
E tutto questo non avviene in un periodo espansivo dal punto di vista economico. Tutt'altro. Mentre molti lavoratori perdono il proprio stipendio, mentre molti lavoratori non riceveranno per diversi anni aumenti salariali, mentre la povertà fagocita un numero sempre superiore di italiani, questi, dall'alto dei loro ingaggi milionari minacciano scioperi.
Beh, personalmente direi: che lo facciano. O meglio, che lo facessero i tifosi. Evitare di assistere a qualsiasi partita; cambiare canale tutte le volte che in TV si parla di calcio, fino a che gli stipendi di questi signori, pagati per correre dietro un pallone 90 minuti una o due volte la settimana per nove mesi l'anno, non siano tornati a un livello umano.
Onestamente non provo alcuna solidarietà per questi "lavoratori"... e mi chiedo perché a trattare con loro non ci sia un qualche Marchionne, che magari li obbliga a ridurre i tempi dell'intervallo fra primo e secondo tempo, o a giocare almeno due partite di campionato più una di coppa la settimana. Altrimenti si porta tutto in Serbia: una bella delocalizzazione del campionato italiano di Calcio. Oppure si applica la direttiva Bolkenstein: si ingaggiano calciatori polacchi portando in Italia anche i loro contratti così come sono, secondo il famigerato "principio del paese di origine". Scenari paradossali, che fanno sorridere. Ma che sono subiti sul serio da milioni di lavoratori di quelli veri, di quelli che passano (o vorrebbero passare) 40 ore la settimana in fabbrica o in ufficio. E su questo, mi pare che non ci sia proprio nulla da sorridere

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