mercoledì 4 aprile 2012

Dimissioni in bianco: abbiate "fiducia" (?)

In questi giorni sta girando sul web una petizione quantomai opportuna: si chiama "188 firme per la legge 188" e mira a far tornare in vigore la legge 188 del 2007, che vietava la pratica delle dimissioni in bianco. Sì, perché fra le tante nefandezze, ogni tanto il governo Prodi metteva in piedi anche qualche norma non di transizione al socialismo, ma almeno degna di un paese civile. La legge intendeva contrastare quel fenomeno secondo il quale se vuoi essere assunto devi preventivamente firmare una lettera non datata in cui ti licenzi. Se sgarri, se ti venisse in mente di rimanere incinta o se, semplicemente, mi va di farlo, io datore di lavoro ci metto una data e il gioco è fatto. La mostruosità di questa pratica non necessita di essere spiegata. La legge 188 ovviava a questo in modo forse un po' farraginoso, ma ovviava: intanto le dimissioni dovevano essere redatte su un modulo on line scaricabile dal sito del ministero che aveva validità di soli 15 giorni, poi il dipendente doveva recarsi in Comune o al Centro per l'Impiego a comunicare le proprie dimissioni. Se questo non avveniva il licenziamento era nullo.

Troppa burocrazia, disse il successivo governo Berlusconi, che, con il plauso delle aziende (quelle grandi, quelle per cui vale l'articolo 18; nelle altre non c'è bisogno di firmare le dimissioni in bianco), abrogò la legge 188. Il risultato è che secondo l'Istat fra il 2008 e il 2009, circa 800mila persone sono state vittima di questa pratica. E essendoci la firma autografa l'80% delle cause di lavoro si risolvono in modo negativo per il lavoratore. Ecco allora la necessità di ripristinare la norma. La ministra Fornero dice che è d'accordo nel merito, ma ritiene di non ripristinare la legge 188, perché, alla prova dei fatti, troppo burocratica. E pone due questioni: la prima è quella di non punire eccessivamente le aziende (ma secondo me quelle che ti fanno firmare le dimissioni in bianco vanno punite, eccome!); la seconda è che c'è il problema che il PDL, che abolì la norma è in maggioranza, e ovviamente si rifiuta di ripristiarla. Cioè: Berlusconi ci tiene in pugno, vorrei (?), ma non posso. Un qualche fondo di verità c'è, almeno relativamente al secondo problema.
Certo la discussione rischia di essere oziosa. Siccome l'obiettivo chiaro, prima di Berlusconi ora di Monti è non la "revisione" dell'articolo 18 ma la sua soppressione (l'attuale proposta di riforma va vista nella logica della "guerra di posizione":intanto cominciamo a moversi nella direzione voluta, otteniamo un avanzamento, poi domani cominciamo a dire che non va bene neppure così, che non basta, che bisogna fare di più, "semplificare" ancora... loro Gramsci lo conoscono, a differenza di tanti compagni), quando l'articolo 18 sarà soppresso del tutto non sarà più necessario darsi pena di far firmare un modulo di dimissioni. Come mi rendo conto che la questione è complessa e piena di implicazioni (ad esempio: ripristinare la legge 188 senza affrontare il tema dell'incentivazione del lavoro di donne in età "fertile" rischia di aggravare il già presente gap fra i generi in termini di tasso di disoccupazione).
Una domandina però alla ministra pingente, vedi mai gli capitasse di leggermi, gliela vorrei porre: ma un governo che pone una fiducia a settimana, ogniqualvolta cioè si tratti di salvare il paese massacrandolo, non ritiene giustificata la fiducia su una norma del genere?

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