giovedì 2 febbraio 2012

Zitto e lavora! (se lo trovi...)

Che l'Italia stia prendendo una deriva autoritaria dove vengono messi in contraddizione fra loro diritti tutti degni di protezione, dove le ragioni dell'economia facciano premio su quelle della democrazia e dei diritti sociali non è una grande scoperta, almeno per quei pochi che ogni tanto capitano su questo blog e per molte altre persone che, più che alle vicende dello spread e dell'andamento dei mercati, sono attente all'andamento della qualità della vita dei lavoratori e degli altri "poveracci" (perché, ricordiamolo, ad oggi un lavoratore è niente di più che "un poveraccio").

Le ultime due esternazioni, in ordine di tempo, del capo dello stato e del capo del governo confermano in modo sinistro tale consapevolezza. Giorgio Napolitano (che ha evidentemente l'intento di far rimpiangere Francesco Cossiga... e il brutto è che ci sta riuscendo), dopo gli scontri di Bologna, nei quali un gruppo di indignati armati di uova sono stati caricati dalla polizia se n'è uscito commentando : "Sì al dissenso solo se è motivato e se non sfocia nella violenza". Posso essere d'accordo sul non sfociare nella violenza (almeno in condizioni di agibilità democratica normale, altrimenti già nel XVII secolo John Locke - che non era un pericoloso anarcoinsurrezionalista - parlava del diritto a ribellarsi alla tirannide), ma il concetto di "dissenso motivato" è qualcosa di ripugnante.
Chi conosce le basi minime del diritto amministrativo sa bene che un atto amministrativo va motivato, un atto politico no, perché trova la motivazione in sé stesso. Se un sindaco decide di chiudere una scuola per un giorno deve dire perché (per motivi di sicurezza dell'edificio, perché è previsto l'arrivo di un metro di neve...), se un sindaco decide che le scuole pubbliche siano uniche destinatarie dei contributi per il diritto allo studio non deve motivarlo, perché questo deriva dalla sua particolare convinzione politica, in virtù della quale è stato eletto. Ora siccome il dissenso è esso stesso un atto politico (in quanto mira a contrastare una particolare politica, ad esempio quelle messe in pratica dal governo su pensioni e mercato del lavoro), è ovvio che non debba essere motivato. Perché le motivazioni trovano le fondamenta nelle convinzioni di chi protesta, che non condivide quella particolare politica. Chi dissente è in grado di esporre e spiegare le proprie motivazioni, ma molto probabilmente la persona oggetto del dissenso, che ovviamente ha opinioni diverse, non le condividerà, ritenendo quindi il dissenso "immotivato". E allora chi decide se il dissenso è motivato o meno? Insomma parlare di "dissenso motivato" significa negare la possibilità di un dissenso che non sia "accettabile" da parte di chi detiene il potere. Non importa essere dei comunisti medi per capire quanto questo sia un orrore dal punto di vista democratico. E pensare che lo stesso Napolitano, anche se oggi fa lo gnorri, tanto tempo fa è stato comunista...
Monti invece va più sul classico, arrivando alla banalità da bar, che se è detta davanti a un frizzantino o a un caffè è un conto, detta dal capo del governo nonché salvatore della patria è un altro. Cosa ha detto il Mario nazionale? che i giovani devono dire addio al posto fisso, che tra l'altro è una grande monotonia. Lo dice lui, da poco Senatore A VITA (che noia, poveraccio!). Lo dice dall'alto dei suoi 70mila euro mensili di pensione a una platea di giovani in cui uno su tre è disoccupato. Secondo il nostro bisogna sapersi reinventare, bisogna saper cogliere le sfide. Magari fino a 70 anni o più. Certo, se si fa il professore universitario, il banchiere, il mega-manager è più facile. Se si fa l'operaio metalmeccanico magari dai tempi dell'adolescenza è più difficile. E poi ci pensa lui a garantire presso la banca per tutti coloro che faranno una vita interessante e piena di sfide cambiando lavoro, se hanno la fortuna di trovarlo, ogni paio di anni, se per caso venisse loro in mente di chiedere un mutuo per la casa? Perché Mario Monti e la ministra piangente forse si scordano di piccoli particolari come questo. Oppure del fatto che non si può proporre la legittimazione dei "licenziamenti discriminatori" (perché questo e non altro sono i licenziamenti non per giusta causa) oggi, sventolando la possibilità di istituire un reddito di cittadinanza per il quale però, purtroppo, i soldi non ci sono, quindi oggi no, forse domani...
Insomma questo è il futuro dell'Italia: una vita da precario senz'arte né parte, dove oggi fai il cameriere, l'hanno prossimo il fornaio, poi il facchino, poi il bracciante, poi il manovale... (così i nostri lavoratori non avranno la possibilità di specializzarsi in niente, quindi saranno dequalificati, cosicché nessuno vorrà investire in Italia se non abbattiamo il costo del lavoro... come la Cina; no, come il Vietnam; no, come il Ghana...) dove non solo sei sottoposto ai ricatti del padrone, con una paga da fame e senza prospettive di una casa, di una famiglia o altri odiosi privilegi del genere, ma dove non puoi neppure esprimere il tuo dissenso per la tua condizione da schiavo se non è "motivato", ossia condiviso da chi ti ha gettato in quella condizione. Una concezione da brividi, che ci riporta magicamente agli anni più bui della nostra storia recente. O più che della nostra storia recente, di quella argentina. Mi torna in mente una vecchia campagna pubblicitaria del compianto quotidiano "Liberazione", che diceva "Si incazzarebbe anche Spartacus". Che si incazzi, fregandosene del fatto se la propria incazzatura sia o meno "motivata". Purché non sia troppo tardi

Nessun commento:

Posta un commento