
Confesso che a volte trovo incomprensibile il dibattito nel mio partito. Non tanto per come si discute (oramai lo si fa molto via facebook o via blog, ma tant'è...), e neppure tanto per i temi di cui si discute, quanto per la pericolosa "scissione" fra il nostro dibattito e i bisogni delle classi che vogliamo rappresentare.
E' possibile, ad esempio, che in una situazione di crisi come quella attuale, a causa della quale centinaia di migliaia di lavoratori sono espulsi dai processi produttivi e sbattuti oltre la soglia di povertà, in cui il governo vara una manovra che causa un massacro sociale, tutela i ricchi e non scalfisce l'evasione fiscale, noi, i COMUNISTI, perdiamo tempo ed energie preziose (perché poche) in dibattiti attorno al fatto se sia meglio fare la Linke o se sia meglio seguire l'esempio del KKE? Non sto scherzando, basta girare un po' su internet per vedere che è così. Il nostro dibattito non è sulle proposte di lotta contro la manovra di Tremonti e Berlusconi, non è su una nostra contro-proposta in materia di politica -economica (sulla base della quale misurarsi anche con PD, IDV e SEL, magari...). Il nostro dibattito è fra chi vuole il partito comunista unificato quieora e chi invece propone il modello della Linke tedesca. Come se un modello organizzativo potesse di per sé stesso risolvere i nostri problemi, che sono invece di tutt'altro tipo. Con una facile battuta potrei dire che se dovesse esserre così, sceglierei a occhi chiusi: sia la Linke che il KKE hanno risultati elettorali, politici e organizzativi incommensurabilmente superiori ai nostri. Se bastasse assumere uno dei due modelli organizzativi per raggiungere questi risultati... beh... allora rilancerei: il nostro modello deve essere AKEL, il partito comunista cipriota che supera il 30% dei consensi elettorali e che esprime il Presidente della Repubblica: vediamo chi mi batte! (ovviamente non sono in gara i Partiti comunisti dei pochi paesi socialisti superstiti o sedicenti tali).
Cerco di calarmi nell'ottica del lavoratore cassintegrato, magari uno di quelli che fino a ieri si riteneva fortunato per avere un lavoro "fisso", a tempo indeterminato, con i propri diritti sindacali riconosciuti... un operaio che magari ha sempre votato a sinistra ma che non è mai stato organico al nostro partito e che oggi ha necessità di qualcuno che gli ri-insegni a lottare. Lottare per il proprio posto di lavoro, lottare per la propria prospettiva di vita, lottare contro le politiche antipopolari di Berlusconi. Un lavoratore che quindi, dopo aver tradito la sinistra nel 2008, si rende conto di quanto ha bisogno della sinistra e dei comunisti. Questo lavoratore allora si volta a guardarci, ad ascoltarci e cosa sente: che i pochi comunisti rimasti, quelli che hanno mantenuto una prospettiva anticapitalistica quando il capitalismo sembrava infallibile e indistruttibile, quelli che quindi partirebbero in vantaggio in un momento di profonda crisi del capitalismo, ebbene, quelli lì sono intenti a litigare sul fatto che sia migliore il KKE o la Linke. In subordine li vede litigare sul fatto che i comunisti debbano uscire da tutte le maggioranze di governo locali in cui sono impegnati o se debbano rimanerci. Ovviamente in assoluto, senza un riscontro di ciò che ci facciano o meno in quelle maggioranze.
Se questo lavoratore ci volta le spalle, questa volta definitivamente, lo posso capire. Probabilmente ha una idea confusa di cosa sono Linke e KKE, probabilmente non gli importa granché del fatto che i nostri compagni siano o meno nelle giunte degli enti locali. Probabilmente vorrebbe solo sentirsi dire che esiste un'altra possibilità, un'altra politica economica e che esiste qui e ora. Probabilmente vorrebbe incontrare dei compagni e delle compagne in carne ed ossa che siano in grado di ascoltarlo, di offrirgli una prospettiva politica e magari insieme di dargli una mano a risolvere il problema contingente.
Per questo da blog molto più letti di questo, seguito credo da qualche compagno e amico, ho sempre detto che a mio parere dovremmo cercare, come Federazione della Sinistra, cercare di caratterizzarci su poche questioni cruciali: il lavoro, i beni e servizi pubblici, il partito sociale. cercando magari nel contempo di riorganizzare le nostre file. Insomma: la costruzione del soggetto politico portatore di una cultura anticapitalista deve partire, appunto, dalla politica, cioè dal lavoro di radicamento e dall'elaborazione di una proposta anticapitalistica immediatamente percepibile ed "aasimilabile" da parte dei nostri soggetti sociali di riferimento. Dopo di che le condizioni determineranno la forma organizzativa più adatta. Dire "voglio fare il KKE o la Linke all'italiana" a prescindere dal contesto, solo per una preferenza ideologica e aprioristica per uno dei due modelli, vuol dire pensare di costruire un palazzo partendo dal tetto.
Ma soprattutto dovremmo cercare di attenerci ad un dibattito che abbia qualche punto di contatto con la realtà. Altrimenti la nostra inutilità non sarà data dal fatto che qualcuno farà l'appello al voto utile, dal fatto che rischiamo di non rientrare in Parlamento. La nostra inutilità sarà data dal fatto che saremo, davvero inutili. E anche un po' patetici: come quei gruppuscoli, ferrei nella loro convinzione di avere in tasca la verità (che però non riescono a guidarci al trionfo del socialismo, forse perché ci sono troppi falsi comunisti che turlupinano il proletariato... sembra di leggere i dispacci del PMLI!) che fanno dichiarazioni altisonanti sulla loro volontà di rifare il PCI. Dimostrando di non avere né il senso della realtà né il senso del ridicolo.